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2015/03/28

a proposito di Andreas Lubitz....

Sono una persona che per motivi di lavoro e qualche volta di svago, viaggia con regolarità in aereo, volendo potrei vantare le ore di un comandante di Airbus e batterlo egregiamente. Una volta provai anche a contare i giorni e venne fuori che quasi un anno della mia vita l'ho trascorso sospeso a 12000 metri con i piedi nel vuoto. 
Inquietante? Nemmeno tanto, istruttivo sicuramente per lo stesso motivo per cui tutti dicono che il mezzo più sicuro per viaggiare è quello aereo. Non ci sono scuse. 
E' vero!

Secondo voi di cosa parlano, oggi, i viaggiatori negli aeroporti?

Di cosa discutono gli equipaggi nel briefing prima dell’imbarco? A cosa pensano i passeggeri al decollo, mentre l’aereo stacca l’ombra da terra? Pensano, discutono e parlano di una cosa sola. Di Andreas Lubitz e di tante vite umane finite contro una montagna. Una storia assurda perché un pilota omicida è un ossimoro. Ai piloti ci affidiamo per portarci in cielo e riportarci a terra. Lo sappiamo noi e lo sanno loro. Volare è un atto di fiducia. Negli uomini e nelle donne, prima ancora che nei professionisti dell’aeronautica.

Non l’unico, certo tra i più sconvolgenti: voliamo da poche generazioni, in fondo. Ma la nostra vita - tutta - è un esercizio di fiducia. Nel guidatore del nostro treno, nell’autista del nostro bus, nel chirurgo in ospedale. Anche nel cuoco del ristorante sconosciuto, se ci pensate: potrebbe avvelenarci tutti, e non lo fa. Questo va detto, oggi, a chi sostiene d’avere, di colpo, paura di volare. Non serve recitare statistiche, anche se provano, senza dubbio, che l’aereo resta il mezzo di trasporto meno pericoloso. Non serve segnalare che, dopo una tragedia come quella del volo Germanwings 4U4525, le procedure verranno cambiate e volare diventerà ancora più sicuro. Meglio ricordare una cosa, invece: possiamo evitare molto, ma non tutto. 

L’ossessione per il controllo domina la società occidentale. Nel fatalismo può esserci incoscienza, ma anche saggezza. La vita va difesa sempre; ma è, per definizione, vulnerabile. Non c’è scuola, non c’è spiaggia, non c’è stadio che possa considerarsi sicuro: pensate a Beslan, allo tsunami, a Heysel o Hillsborough. Credere il contrario significa diventare quelli che gli americani chiamano control freaks , controllori compulsivi. Proprio gli Usa dimostrano che nessuna società fornisce garanzie assolute. Le scuole e i cieli americani lo hanno dimostrato.

Bastano poche leggi delle fisica, e un po’ di buon senso, per rendersene conto: un aereo, splendido strumento che semplifica la vita di molti, può diventare un veicolo di morte per qualcuno. Lo hanno capito, purtroppo, i terroristi dell’11 settembre. Lo ha intuito, nel buio della sua mente, il copilota ventisettenne del volo Barcellona-Düsseldorf. Possiamo - anzi, dobbiamo - limitare i rischi. Non possiamo eliminarli del tutto. Non viaggeremmo, non mangeremmo, non berremmo, non ameremmo: saremmo robot senza le garanzie meccaniche dei robot. Moriremmo per una malattia cui non avevamo pensato, o scivolando nel bagno di casa. Essere cauti è giusto; essere ossessionati è ridicolo. Voler controllare il possibile è saggio; credere di controllare tutto è arrogante. Vivere è un atto di fiducia. Lubitz è stato il nome della morte dal cielo, ma alzate gli occhi: le stelle, su in alto, sono più numerose dei fulmini. 

Auguri EXPO !


Conservate queste righe e rileggetele tra qualche mese:
L'EXPO Milano 2015 sara' una grande bufala e un formidabile FLOP.

Erano stati annunciati 20 milioni di visitatori, poi corretti in 14, poi 10, ora circa 8 milioni, ma quanti “veri”, al netto dei biglietti gratis o di quelli offerti dagli sponsor – soprattutto pubblici ed istituzionali – che pagano con i nostri soldi?

Manca un mese all’inaugurazione di EXPO e non solo i lavori non sono ancora finiti, ma si stanno facendo adesso ancora i bandi per molti appalti, opere che non saranno comunque mai collaudate perché ormai non si farebbe più in tempo, mentre poche imprese (quasi tutti del sud) si sono spartite la torta e subappaltato tutto. 

Sicuramente i servizi milanesi non sono intanto significativamente migliorati e è soprattutto ben strano che non risultino prenotazioni alberghiere importanti né a Milano né nell’hinterland e che fuori dall’Italia dell’EXPO non parli quasi nessuno. 

Nel frattempo Malpensa è diventato un deserto e non c’è praticamente nessun nuovo volo intercontinentale, l’autostrada Milano-Torino è tuttora a due corsie con cantieri impossibili da Rho a Novara, la tangenziale nord di Milano è bloccata come sempre, quella per Brescia non finita né collegata alla A1, la “Pedemontana” è in esercizio solo per pochi chilometri. 

Questi i fatti, al netto della demagogia e della retorica. 

Auguri Expo!

2015/03/27

Asso pigliatutto!


Asso piglia tutto o scopa d'assi o Scaragoccia è un gioco di carte, variante della scopa, molto diffuso in Italia. Si gioca con un mazzo da 40 carte, divise in 4 semi di 10 carte ciascuno e possono partecipare 2 o 4 persone. Il mazziere è il giocatore da cui il sistema fa partire la distribuzione delle carte. Quando il gioco ha inizio, il mazziere viene stabilito casualmente dal sistema. Ad ogni fine smazzata, anche nel caso di gioco composto da più partite tra stessi giocatori, il mazziere gira in senso antiorario e cioè il prossimo mazziere sarà quello seduto alla destra del mazziere precedente.

Oggi il Capo del governo e quindi Presidente del Consiglio è il mazziere, vale a dire il sig. Matteo Renzi – non eletto premier in nessuna elezione e neppure parlamentare, solo “nominato” e basta – che è contemporaneamente anche il segretario nazionale del PD ovvero del maggior partito italiano nonché, “ad interim”, ora anche il ministro delle infrastrutture e grandi opere. Il sistema, cioè il Palazzo ha deciso che lui doveva essere il mazziere, colui che avrebbe traghettato il Paese verso la totale dipendenza dal sistema, il quale viene gestito dalla Germania, vera nostra proprietaria che a un certo momento scaricherà il nostro paese come sta già facendo con la Grecia. La nostra ripresa è solo apparente, corriamo verso il baratro, ce ne accorgeremo quando sarà troppo tardi per frenare.

Renzi sta per far votare una legge elettorale ed una riforma costituzionale per cui a decidere in Italia ci sarà un Parlamento composto da una sola Camera dove il primo partito - anche senza avere la maggioranza dei voti - avrà però automaticamente la maggioranza assoluta dei seggi. Gli eletti saranno per oltre l’80% i capilista dei singoli collegi, persone non scelte dai cittadini ma dai partiti o, meglio, dai capi degli stessi partiti senza possibilità per gli elettori di esprimere preferenze se non in casi rarissimi. 

Il signor Matteo Renzi potrà quindi nominare chi vuole e farlo eleggere, predeterminando quindi una “sua” ampia maggioranza di fedelissimi in Parlamento del “suo” stesso partito di cui appunto è anche segretario. 

Il futuro Parlamento a Camera unica – e quindi lo stesso Renzi - nominerà anche tutta una serie di cariche, dal CSM alla Corte Costituzionale (controllando quindi anche la Giustizia) oltre al Presidente della Repubblica. 

Una sola persona controllerà quindi il potere legislativo, esecutivo e giudiziario.

Se queste le cose le avesse decise Benito Mussolini, quanti “democratici” starebbero ora piangendo sulla mancanza di democrazia? La gente è delusa, distratta, stufa della politica…Ma non sarebbe ora di preoccuparsi un po’ e avere almeno la libertà con il voto di preferenza di scegliersi il proprio deputato?

2015/03/26

1992


Riporto un articolo de Il Giornale con l'intento di conservarne traccia e potermelo leggere tranquillo negli anni a venire.
Vogliate scusarmi ma lo sdegno è grande. Anche io c'ero e non è affatto andata come lo descrive Sky. L'articolo è a firma di Paolo Liguori che saluto e ho sempre apprezzato.

1992, io c’ero. E non dormivo. E le cose non sono andate affatto come le racconta la fiction di Sky. E’ fiction - direte -  mica storia da prendere alla lettera. Ma sbagliate, la memoria è materia che può essere manipolata, cambiata, ricostruita. Ed è questa la pretesa di Sky, il grottesco tentativo di riscrivere la storia italiana e quella del concorrente Mediaset, modificandola fin dalle origini. E’ questo il filo conduttore di un’operazione costosa propagandata da settimane in ogni angolo dell’impero a pagamento, perfino nei canali sportivi. 

Fate attenzione, adesso vi raccontiamo come sono nate DAVVERO le televisioni di Berlusconi e la sua forza pubblicitaria. Non useremo le solite dietrologie di Travaglio, ma quasi. E le renderemo spettacolari per il pubblico più popolare con l’aiuto di Accorsi e di una sinistra ubriacata dal nostro denaro e dall’odio per il Cavaliere che non finisce mai.

E’ ridicolo, come se negli Usa la Pepsi Cola finanziasse un film per raccontare la storia della Coca Cola, ma con molto più odio. 

Sky usa la fiction per riscrivere la storia di Mediaset
Capito il filo conduttore, il resto sono comprimari, che vengono adattati alle esigenze del copione, con un pizzico di realtà e una grande bugia iniziale. Per esempio, la grande necessaria divisione tra buoni e cattivi: di qua Di Pietro e Mani pulite, dall’altra parte i corrotti, i partiti, Dell’Utri e Publitalia. Falso enorme, perfino nei particolari: la Lega non è nata dopo l’arresto di Chiesa e le televisioni Fininvest, come tutti ricordano, furono in prima linea davanti al Tribunale di Milano. E’ molto successiva la svolta della Procura contro Berlusconi che, dopo le elezioni del 1994, divenne con Forza Italia stabilizzatore del sistema e dunque nemico di quei magistrati che sognavano di fare la loro rivoluzione e la storia. Non ho dubbi che il cervello ispiratore di 1992 ha già in cantiere gli anni successivi, si vede da come prepara la strada. E’ grottesco il monologo del funzionario giovane e spregiudicato di Publitalia (Accorsi ha ideato per sé il ruolo, facendo subito capire dove si andrà a parare in seguito) che parla della crisi degli anni 90 che sta arrivando come se fosse già un funzionario di partito, mentre il decennio e anche quello successivo saranno il migliore periodo di sempre per la pubblicità. Insomma, un pateracchio, con un Di Pietro angelicato (e abbiamo visto in seguito che la questione morale non è proprio il suo forte) e gli uomini Fininvest (che a quei tempi erano giovanissimi e completamente estranei alla politica) in mezzo a tutti gli intrallazzi della vecchia politica e a tutte le perversioni possibili. Perfino il ridicolo siparietto dell’industraile di brugole sedotto dalle ragazzine di “Non è la Rai”( peraltro, idea di Buoncompagni e Ghergo, esuli dalla Rai).

Insomma, un brutto falso, perfino confuso, di scarso interesse, se non fosse per il produttore. Loro, Sky e in generale News Corp, fanno sul serio, in particolare i figli di Murdoch. Quando decidono di conquistare un mercato, non badano a spese e ai mezzi che usano, leciti e illeciti. Se hanno concorrenza la comprano o la spianano, e lo fanno con il passo chiodato del gigante. Soltanto la sinistra italiana, sempre compiacente quando si tratta di diffamare la storia personale e professionale di Berlusconi e delle sue aziende, pensa di trattare con un soggetto minore delle comunicazioni, un possibile alleato malleabile. Domandino referenze a David Cameron, premier britannico, o anche a Tony Blair, senza distinzioni tra destra e sinistra. I mezzi di comunicazione di News Corp hanno spiato e intercettato illegalmente tutti e due, per vicende familiari e pressioni politiche. Certo, Rebekah Brooks direttrice di Sun e News of the World, si è assunta la responsabilità di tutto, anche delle intercettazioni illegali sui familiari di una bambina rapita, per gestire un miserabile scoop. 

E in questo modo ha protetto James Murdoch, figlio di Rupert, che era stato indagato da Scotland Yard, per aver tentato di occultare lo scandalo. Però, il News of the World, il più grande settimanale anglosassone, con 178 anni di storia è stata costretto a chiudere. Adesso Rebekah la Rossa, sempre protetta dal gruppo, è stata riabilitata silenziosamente e Tony Blair, che aveva avuto una relazione clandestina con Wendi Deng, ex signora Murdoch, in una villa in California, si è visto pubblicare i diari privati della signora e distruggere il suo matrimonio. Un mondo così, con episodi che in Italia sono stati molto silenziati: sarà perchè alla vigilia della prima di 1992 tutti coloro che a Roma hanno un ruolo nella comunicazione erano all’anteprima, ospiti di Sky? News Corp è una grande macchina di relazioni, ha tantissimo denaro da investire in televisione e spettacolo e tanti tifosi spontanei dell’operazione di riscrittura grottesca della nostra storia recente. Purchè sia sempre contro Berlusconi e Mediaset, anche usando la contraffazione.

2015/03/20

Martiri nel secondo millennio


Non si può ignorare l’appello del Papa che domenica ha ricordato il martirio di migliaia di cristiani che ancora in questi mesi sono stati uccisi solo per la loro fede. Lo stesso vale per gli ebrei uccisi per motivi religiosi.

Quello che mi inquieta è l’assordante silenzio della risposta: non un cenno da parte del governo, dell’Europa, dell’ONU, del mondo. Ma come è mai possibile che avvenga tutto questo? Nessuno chiede “occhio per occhio, dente per dente” ma in qualche modo bisogna organizzare una risposta: lo impone la coscienza ad una politica così fredda, menefreghista, “laica” nel peggior senso del termine.

L’Europa non ha voluto riconoscere le sue “radici ebraiche e cristiane” quasi non esistessero, l’America è lontana, fregarsene è più facile che impegnarsi, ma credo sia giunta l’ora per TUTTI di interrogarsi e pretendere di più. 

E’ incredibile come si urli a favore della politica “in difesa delle libertà” ma poi la si intende solo per i gay che possano avere o meno figli, per far crescere embrioni congelati per 19 anni o per le più aberranti pratiche edonistiche e non si vuole invece tutelare la libertà che la gente possa avere una propria religione senza rischiare per questo la vita. 

I media privilegiano sempre alcune campagne, altre sono nascoste o minimizzate e la libertà di religione ne è uno scandaloso esempio.

Se è giusto tutelare anche la libertà dei musulmani di esprimere il proprio credo in Italia e in Europa perché l’UE non pretendere un minimo di reciprocità? 

Dov’è il nostro governo a chiedere questo in Europa? 

Dov’è l’Europa che ha la Mogherini come “coraggiosa” ministro degli Esteri? 

Avete sentito un suo guaito, una sua protesta? Silenzio, forse questa tematica non fa fino per certi “progressisti”. 

Eppure ci sono mille modi per pretendere reciprocità, ma bisogna fare delle scelte economiche, comportamentali, strategiche… e purtroppo non si ha il coraggio di farle. 

E’ triste quanto vergognoso!

2015/03/07

Soldi Sporchi


Quando si guarda a fondo in questioni di corruzione, spesso la realtà va ben oltre la fantasia. Lo scandalo Mose-Expo degli ultimi mesi in Italia ne è prova tangibile. Una Mani Pulite 2, molto più elaborata e articolata, ha mostrato la corruzione sistemica dei controllori e dei super-manager e non solo dei controllati o dei soliti politici di turno. In questo caso tutte le parti in causa hanno avuto un ruolo preciso, senza distinzione tra “buoni e cattivi”. Dalla guardia di finanza al Magistrato delle Acque, ai vari super manager governativi dell’Expo nel gioco a premi fatto di corrotti e corruttori c’era spazio per tutti. Insomma un sistema altamente delinquenziale, che non risparmia nessuno, tranne quei magistrati coraggiosi che pazientemente lo indagano e poi smascherano.

Ma basta spostare la prospettiva e il punto di osservazione verso il Sud del mondo che tutto il “sistema” salta. Almeno agli occhi dell’opinione pubblica dominante, imboccata da media poco attenti, quando non del tutto assenti. In Nigeria, secondo questa logica, la corruzione è causata da avidi politici nigeriani che affamano il loro popolo tenendo per sé i proventi del petrolio. Addirittura estorcendo denaro alle “povere” multinazionali petrolifere occidentali, costrette a subire pur di lavorare e creare ricchezza oltre-confini, perché ovviamente quelle cinesi, di multinazionali, sono ancora più corrotte degli stessi politici nigeriani. Il risultato è un enorme ginepraio di luoghi comuni, disinformazione e scarica barile con cui i governi occidentali e i loro probi governanti possono lavarsi mani e coscienza invocando una assoluta estraneità ai fatti. Ipocrisia senza quartiere per alcuni, arte della diplomazia e della politica secondo altri. Appunto, basta spostare prospettiva e punto di osservazione.

La storia vera che questa graphic novel racconta è quella di un onesto cittadino nigeriano che, come tanti, crede che ci vogliano due partner consenzienti per ballare il tango della corruzione. In alcuni casi il maschio tanghero che guida lo show è occidentale, nigeriana invece – e ovviamente non priva di responsabilità – è la consenziente ballerina.
Dotun Oloko, il protagonista inconsapevole di questa spy story fatta di corruzione, giochi di potere, fiumi di denaro e violenza, ha bussato alle porte di tutti i finanziatori pubblici occidentali per allertarli, metterli in guardia e indurli a intervenire per prevenire una delle più grandi frodi internazionali con soldi pubblici degli ultimi anni. Una denuncia senza quartiere che lo ha portato lontano dalla sua terra. Giocatore involontario di un complicato Risiko tra Africa, Stati Uniti ed Europa, dove nulla è più distinguibile, dove esistono solo nemici da cui guardarsi.

In questo gioco molto più grande di lui, Dotun ha scoperto che non vi è alcun vero interesse a porre fine alla corruzione e allo sperpero di fondi pubblici, a Londra come a Bruxelles. E che chi disturba il controllore, come ha fatto lui, poi finisce nel mirino dei corrotti con il tacito consenso dei finanziatori pubblici. Questa inquietante realtà è stata recentemente certificata dal garante europeo per la privacy, che ha fatto emergere come, dopo aver presentato l’esposto, Dotun e i suoi figli fossero stati   sistematicamente spiati da investigatori privati assoldati dai manager del fondo di private equity tramite cui i governi occidentali hanno investito in Nigeria. L’ufficio anti-corruzione europeo (Olaf) alla fine ha chiuso le sue indagini sul caso con un nulla di fatto, ma la stessa indagine è stata riaperta quest’anno dal Serious Fraud Office inglese, dimostrazione che anche tra i controllori europei pare esserci qualche problema.

La tenacia e il coraggio con cui Dotun si è tuffato nello scandalo ECP non si è però limitata a questo. Insieme a Re:Common, Global Witness e The Corner House Dotun ha aiutato a ricercare e poi formulare un esposto alle autorità inquirenti di Regno Unito, Stati Uniti ed Italia sulla mega tangente di più di un miliardo di dollari che l’ENI e la Shell avrebbero pagato al governo e a vari trafficanti nigeriani e italiani per la licenza del campo petrolifero offshore Opl245. Anche in questo caso le indagini che ne sono scaturite, fino al blocco senza precedenti di più di 200 milioni di dollari dell’ENI a Londra e in Svizzera da parte della Procura di Milano, hanno dimostrato addirittura la possibilità che vi fosse una cospirazione da parte del senior management dell’ENI per defraudare la stessa società – ancora in parte pubblica – beneficiando di una parte della maxi stecca.

Lo scorso settembre la nuova indagine sul cane a sei zampe da parte della Procura di Milano è stata ampiamente riportata da tutti i media italiani e internazionali, e il primo ministro Renzi si è subito sperticato in una difesa (azzardata?) del nuovo amministratore delegato dell’ENI da lui nominato, pur se coinvolto fino al collo nella vicenda. La giustizia farà il suo corso, come si dice sempre in queste occasioni. Ma è importante aggiungere che anche la giustizia sociale perseguita dalla società civile lo continuerà a fare, ispirata dall’operato di persone come Dotun Oloko che, mettendoci la faccia, sfidano i veri poteri forti nel tango corrotto che costoro “insistono” a ballare indisturbati, in Italia come in Nigeria.

La lotta alla corruzione non ha bisogno solo di super-commissari e leggi a tolleranza zero – seppur necessarie – o di una cooperazione effettiva tra le autorità dei vari paesi che oggi è ancora un miraggio: oggi più che mai serve una società civile libera e indipendente che combatta in prima linea senza fare sconti a nessun governo, chiedendo e sostenendo l’azione della magistratura e dando voce e protezione a gole profonde così come a chi voce non ce l’ha. A partire dai milioni di diseredati del Delta del Niger in Nigeria, la cui vita è stata e continua a essere saccheggiata da governi corrotti e multinazionali “tanghere” del petrolio.

2015/03/06

Noi e la Libia

Bisogna essere molto cauti nell’intraprendere qualsiasi azione armata ma non è neppure possibile far finta di niente, subire, non reagire, come stanno facendo in queste settimane l’Italia e l’Europa davanti al caos libico mentre l’ONU sostanzialmente decide di non fare nulla e aspettare gli eventi

D'altronde i fatti di Libia sono anche conseguenze di una politica scellerata nei confronti di Gheddafi qualche anno fa. Francia e USA ne portano per primi la responsabilità, ma come molto spesso succede “non pagano dazio”.

Ma alcune cose si possono fare, subito, davanti all’offensiva dell’ISIS cominciando per esempio a distruggere sistematicamente – vuote! – tutte le imbarcazioni e i gommoni che trasportano i disperati. Lo si è fatto a suo tempo in Albania e si può farlo anche in Libia, perché si sa benissimo da dove partano i viaggi dei novelli schiavisti e questo deve avvenire preventivamente sulla costa oppure un minuto dopo l’avvenuto trasbordo dei clandestini 

Se non lo si fa è perché non si ha il coraggio o la possibilità di farlo e la brutta figura della nostra motovedetta disarmata che deve restituire il gommone a tre tagliagole offende il buonsenso prima ancora della dignità nazionale. 

Se i migranti non sono più una questione umanitaria ma innanzitutto un ricatto politico non lasciamoci ricattare: se si sparge la voce in tutto il Nordafrica che il mare non lo si può più attraversare diminuiranno i passaggi ma se – come oggi – si strombazza in TV che tutti vengono raccolti è ovvio che il traffico si moltiplica.

L’Italia – minacciata direttamente - alzi inoltre finalmente la voce a livello internazionale CON ATTI CONCRETI perché è la Sicilia a due passi dalla Libia, non a Berlino o Parigi.

Per esempio l’Italia rimpatri (o minacci di rimpatriare) SUBITO tutte le nostre presenze militari all’estero, dall’Afghanistan al Libano al Kossovo. Sospendiamo il pattugliamento internazionale in Oceano Indiano (tanto vediamo cosa succede, per ringraziamento, ai nostri due Marò…) e per protesta si lascino tutte le missioni “di pace” (spesso quasi inutili o diventate marginali) e vedrete che qualcuno si sveglierà.

Cominci intanto a dimettersi contro l’ignavia europea anche la “ministro nulla” ovvero la signora Federica Mogherini che sta solo “nella vigna a far da palo” e conta meno di zero a livello europeo, e lo si è visto per la Libia così come per l’Ucraina. 

Un po’ di nerbo, santiddio, non la solita poltiglia italiana che ci fa ridere dietro a livello internazionale!

2015/02/28

ISIS guerra persa prima ancora di cominciare

Questa volta nessuna immagine. Volutamente ometto di inserirla, Nessuna delle immagini sul web è sufficientemente capace di mostrare il mio sdegno e preoccupazione per quello che sta succedendo ora.

Mentre la Francia e il Regno Unito scoprono con orrore che le persone normali possono essere improvvisamente trasformate in tagliagole, ritorno su questo fenomeno che non ho mai smesso di denunciare: alcuni jihadisti non sono né takfiristi, né mercenari, ma sono stati condizionati per diventare assassini.

Per l’ennesima volta non mi stupisco quindi che i criminali dell’ISIS la facciano da padrone in Medio Oriente e in Libia vista la pochezza dell’Europa che sta loro di fronte e che non ha il coraggio di opporsi a questi criminali. 
“L’Italia agirà con fermezza” dice Renzi. Giusto, con “fermezza” si intende che si starà appunto fermi, immobili, nulla decidendo. Così come nulla decide l’ONU, l’Europa, l’intero occidente “cristiano” svogliato e distratto. Anzi, nessuno aiuterà perfino i libici che si oppongono all’ISIS, pur di non compromettersi. 

Ci sarà solo una breve polemica dopo il prossimo attentato, una lacrima per le prossime morti in mare e poi nuovamente calerà il silenzio. Intanto avanti con gli sbarchi, gli scafisti, le rappresaglie, i cristiani e i prigionieri messi in gabbia e poi bruciati o strangolati, gli omicidi, gli stupri. 

L’ottusità umana è sempre la stessa: i nazisti che ieri bruciavano i libri, questi lucidi pazzi assassini oggi dell’ISIS che oggi distruggono le statue. Intorno un mondo colpevolmente idiota, ebete, distratto in attesa del prossimo video, del prossimo orrore, del prossimo disastro. Anzi, visto che i video “disturbano” la proposta di alcune TV è di non trasmetterli nemmeno più perché – sia pur censurati – potrebbero far inorridire le anime belle 


2015/02/23

Lo schiaccianoci


Il Brussels Blog del Financial Times ha pubblicato cento pagine di trascrizioni inedite di interviste che Timoty Geithner ha rilasciato ai suoi assistenti nella fase di preparazione del suo libro Stress Test: Reflections on Financial Crises. Molte delle citazioni compaiono nel libro, altre svelano ulteriori retroscena su quella fase critica (fine 2011-estate 2012) di crisi della zona euro.

Il Brussels Blog rivela innanzitutto come, per l’allora Segretario del Tesoro, il “whatever it takes” di Draghi del luglio del 2012 è stato improvvisato e non vi era alcun piano preciso da parte del presidente della Bce. Geithner ricorda come poco prima della famosa frase, con la comunità degli hedge funds convinti che l’Europa stesse finendo, Draghi non sapeva letteralmente che fare, era allarmato e ha costruito una serie di frasi come ‘we’ll do whatever it takes’. “Ridicolo”, afferma  Geithner. 

”Andai a vedere Draghi all’epoca e Draghi non aveva nessun piano. Il suo piano erano questa sorta di frasi vuote di questo tipo”. Deve far riflettere molto tutti coloro che ancora pensano che la Bce possa iniziare una politica di Quantitative Easing.
Sulla politica europea di quella fase, Geithner aggiunge alcuni particolari alle sue rilevazioni del suo libro che già aveva fatto molto discutere. E nel G-20 in Francia che Sarkozy ospitò in piena campana elettorale, gli europei “ci hanno approcciato in modo soft, indirettamente dicendoci: ‘Vogliamo che vi unite a noi nel forzare Berlusconi alle dimissioni’. Volevano che  dicessimo che non avremo supportato un aiuto del FMI o ogni altro supporto all’Italia qualora Berlusconi fosse rimasto premier. It was cool, interesting. I said no….”, dichiara l’ex Segratario del Tesoro. E questo è più o meno quello che già sapevamo attraverso la sua biografia. 

Ma poi è arrivata la parte nuova: “Ricordo che quando andai a cena guardai il mio Blackberry. Era un cazzo di disastro in Europa. Le azioni delle banche in Francia stavano scendendo del 7-8%.
Per me era come assistere ad una carneficina a causa di persone che stavano dicendo: la crisi in Grecia, chi è esposto in Grecia?… Gli europei arrivarono a quell’incontro dicendo: ‘Daremo ai greci una lezione. Sono veramente terribili. Ci hanno mentito. Hanno succhiato e si sono approfittati della situazione e li schiacceremo’ era l’atteggiamento di tutti loro. Ma la principale cosa che ricordo aver detto a queste persone è stato: ‘tu puoi mettere i tuoi piedi sul collo dei greci, se è quello che volete”. 
Ma, prosegue Geithner, dovete mandare un messaggio di rassicurazione all’Europa e al mondo che lo farete insieme e non divisi. Dovete proteggere il resto dell’Unione”. Dovete essere sicuri di costruire questa capacità per rendere quest’impegno credibile mentre date questa lezione ai greci, il messaggio.

“Ho sottostimato completamente la possibilità che gli europei avrebbero fallito in tutto per i tre anni successivi. Ho pensato che fosse inconcepibile che avrebbero potuto fare così male come in ultima analisi hanno fatto. Ma i primi segnali vanno riscontrati in quel dibattito iniziale. Erano stati ingannati dai Greci. E ‘stato imbarazzante per loro, perché i greci avevano finito per prendere in prestito tutti questi soldi ed erano pazzi di rabbia e volevano solo vendicarsi”.

Ma, sottolinea Geithner, in questo modo stavano alimentando e rafforzando tutto il dramma  che sarebbe seguito. La Grecia è oggi un paese in cui tre cittadini su cinque hanno superato o stanno superando la soglia di povertà, sono stati rinegoziati i principali diritti sociali garantiti per Costituzione e a cui è stato imposto un piano di privatizzazioni selvagge. Le politiche imposte alla Grecia, da allora, sono divenute  il principale modello di riferimento per gli altri paesi, tra cui l’Italia.

2015/02/21

Only a paradise?


Open an offshore company is not prohibited by any law of any country but the conditions or better to say, the rules, indeed the rule is to pay taxes that the offshore company produces in the nation where business takes place, and believe me, almost none of than 810 000 companies registered with the British Virgin Islands is working on native soil.
All, let's talk about 99.9999999% are spread over the entire planet.

Let us read the story of Trevor but could be that of Arturo, Jean or Nikolajev, all share a common problem: too many gains, and too many taxes to pay, of course.

The cabbie who drove me over the vertiginous hills of Tortola toward Road Town, the two-stoplight capital of the British Virgin Islands, told me that his name was Wayne. But he explained that ever since he was a small boy, people had called him "Shorty," so I could call him that too. I'd landed late after a three-leg flight from Toronto, with stops in Miami and Puerto Rico and a last, jarring hop by turboprop ATR. For long stretches of the narrow, winding road from the Beef Island airport, there were no lights to reveal our surroundings. But as he weaved left and right, and gunned the engine of his aging Toyota van to make it up the next steep, Shorty gave me the lay of the place. There were dozens of islands in the BVI-no one can seem to agree on the number-and a whole lot of money. At the far eastern end was Necker Island, owned by Sir Richard Branson. South of us, Shorty indicated with a wave to the left, was Peter Island, where the billionaires liked to hold exclusive weddings. "Sometime we can't go over there for a whole month," he complained. And all around were calm, protected waters, perfect for sailboats. "Mos' people on that plane you came in on," said Shorty, "they coming for the sailing."

Even more than sailing, the business of the BVI is sheltering companies from taxes. Operating as a tax haven isn't unique to this archipelago, of course; plenty of Caribbean islands, along with a few European jurisdictions such as Switzerland and Liechtenstein, have for decades offered the wealthy a place to escape the heavy burden of post-World War taxation. But the BVI has found its métier: offshore incorporation. All of about 25,000 people live scattered throughout these islands, but there are more than 800,000 registered companies here, of which about 460,000 are active. And it's big business: By one estimate, 51.8% of the BVI's national revenue comes from licence and company fees. According to the most recent survey done by KPMG, some 41% of all the offshore companies in the world can be found here.

"Found" is a matter of debate, of course. Because while there are some legitimate legal reasons to establish an offshore company in the British Virgin Islands-hedge funds, for example, appreciate having fewer restrictions on their investments-many people use BVI companies to hide something. Maybe it's identity; establishing an offshore company makes it easier to keep one's name out of certain transactions. Or maybe it's money.

Fraud lawyer Martin Kenney, older brother to Jason Kenney, Canada's Immigration Minister, runs a booming practice in Tortola, charging $650 an hour or a hefty "success fee" to chase down the assets of fraudsters who use offshore companies like those in the BVI to hide millions of dollars from the eyes of wives, business partners and governments. Kenney, his grey hair styled back, his crisp shirt open at the neck, sits in his air-conditioned Road Town office and chuckles as he talks about the years following 1984, when BVI's International Business Companies Act established the country as an offshore financial centre. Those were the days when men would bring in duffel bags full of cash, he says, when you could establish a company or a trust with little or no proof of identity: "In the late '80s and '90s, it was a free-for-all."

Increasingly stiff anti-money-laundering laws, imposed upon offshore jurisdictions largely by U.S. authorities determined to choke off the proceeds of drug trafficking and terrorism financing, have lately made it much harder to secret assets in the BVI. But as Kenney likes to say, "Bad business is still getting booked." And my assignment was to fly here, undercover, and find out how it works.

By coincidence, the very day I began my investigations in the BVI, representatives from the Canada Revenue Agency and the Department of Finance were appearing before the parliamentary finance committee to report on the vexing matter of Canadians keeping money offshore. In the eyes of the CRA, it's a two-pronged problem-tax "avoidance," which subverts the spirit if not the letter of the law, and tax "evasion," which is flat-out illegal. The U.S. government estimates it loses $100 billion a year in tax revenue stashed in offshore accounts. And while the CRA hasn't made an estimate of Canadian offshore money, it has, since 2006, increased the number of full-time employees working on international audits by 44%. In that time, from more than 6,700 cases, it claims to have found $3.5 billion in unpaid taxes.

It takes an accountant to explain how someone might use an offshore company to "avoid" rather than "evade" taxes, so I asked mine. Here's how he put it to me:

A person, call him "Bob," could form a company in Canada (Bob Canada Inc.) and another one offshore (Bob Island Inc.). Whatever money Bob was paid on contract-say, $100,000-could be received by Bob Canada Inc. But Bob could then pay $90,000 to Bob Island Inc. for "consulting services." Bob would have $100,000 in income, but $90,000 in expenses, and so pay tax on only $10,000.

If Bob dealt in hard goods like shoes, he could use Bob Island Inc. to buy shoes from China for $10,000, then sell those shoes to Bob Canada Inc. for $90,000. And Bob Canada Inc. could sell them in Canada for $100,000. So that's $10,000 profit Bob has to pay Canadian taxes on, and $80,000 sitting in a bank offshore. (Bringing any of that offshore money into Canada gets tricky. It might be possible to set up a credit card that would let Bob get cash advances, paid back by Bob Island Inc. But now, by not declaring that money, Bob has slipped over into tax evasion. He's better off using his offshore stash to buy a yacht.)

The CRA is trying to cut off the tax-avoidance avenues for people like Bob by establishing Tax Information Exchange Agreements with various countries, so that it can find out who's keeping how much where. Up to now, it has signed 11 such agreements, several of them with Caribbean jurisdictions. So far, however, the BVI isn't one of them. So when Bob wants to keep his money and his identity safe, he comes here.

In Road Town, you'll find about 80 firms, commonly known as "trust companies," that act as agents in forming and administering offshore companies and trusts. For about $1,500, they'll do the paperwork. (A company named after your grand-niece, with 50,000 no-value shares? Done.) Since there are no taxes to pay in the BVI, there are no books to keep, and no audits of your records. If you wish, many of these firms will provide a person or even another company to act as the "nominee director" of your company, so that your name need not appear on any transactions. And most of them can offer "shelf companies"-that is, companies already incorporated and sitting on the shelf, ready to go. For more money, you can buy a shelf company that has been "aged"-created, say, five or 10 years ago and just waiting, dormant, for someone who suddenly needs to say he's been in business that long.

You can do this online, if you prefer. Many of these firms have websites, and you can download the application forms. (One such firm, Fidelity Corporate Services, provides helpful answers to some common questions about offshore companies. For the most germane of these-"Aren't all offshore companies used by crooks and money launderers?"-Fidelity complains that opinion is part of a government smear campaign, and its answer begins, "Well, aren't domestic companies used by them, too?")

Before I set up meetings with any of these firms, it seemed a good idea to come up with a fake identity. I could go in playing the high-roller, I thought, and even set up a Gmail account under a false name in order to communicate with the firms. That idea dissolved the moment I talked to Jack Blum, a semi-retired former U.S. congression-al investigator and authority on shadowy dealings in the BVI. "They're going to want information about you," he said. "They're going to ask for a passport and some other ID."

So, no fake identity; I'd have to go in as myself. That was probably just as well; I'd never been a very good liar. What about handing over my passport-was that a good idea? I asked the advice of Lincoln Caylor, a fraud lawyer with Bennett Jones in Toronto. "I don't know," he said. "I wouldn't do it." Right.

It also seemed useful, during whatever meetings I could arrange, to at least hint at some underhanded purpose for needing an offshore entity. But what could I, a humble Canadian novelist, be getting up to? After a few more calls for advice, I came up with this: I'd tell them I was about to sign a major U.S. book deal and had a TV development deal in the works, and let the dollars pile up in their minds. As for why might I need an offshore company, I'd mention the fact that my wife was divorcing me, and so...I hoped I could leave the rest to their imagination. Some of this was true-I did have a U.S. book deal and a TV development deal, but for dollar amounts that hardly warranted a sock in a drawer, let alone an offshore company. I was also, as it happened, separated, though between my wife and I everything had long been settled. Exaggeration and implication seemed more within my wheelhouse than out-and-out falsehood.

I ran this scenario past Kenney, to see if it would pass shady muster. He'd chased down billionaire husbands, one who'd forged his wife's signature on a divorce settlement that left her just $33 million. In his Tortola office, he nodded. "That's right in the middle of the road," he said. "You could get some people saying, 'Oooh, that's a little dodgy.'" That seemed just about right.

Downtown Road Town is marked by a busy roundabout and the usual Caribbean atmospherics of car horns, exhaust fumes and a whiff of open sewers. In mid-December, Christmas featured prominently: Inflatable Santas and reindeer wobbled along Main Street in the humid air, and calypso versions of Christmas classics blasted from carpet-store speakers. There are street signs in Road Town, but no one uses addresses. Businesses locate their offices in named buildings, and it is up to you to know where those buildings are. My first appointment, for instance, was with a company I'll call Tortola Trust, in Palm Grove House, a stuccoed building in the banking district (where, as it happens, you'll also find branches of banks such as Scotiabank and the CIBC-owned FirstCaribbean International Bank; thanks to its historic ties to Britain, Canada has long had a dominant banking presence in the Caribbean.)

It took a while, and several entreaties for help from passersby, before I found Palm Grove House. Emerging from the elevator at Tortola Trust, I was greeted by two men in their mid-30s, a South African named Mike and a Brit named James, both of whom were dressed in shirt sleeves, open at the neck. They showed me through an impressive suite of offices into a large boardroom, and brought me a bottle of cold water.

After a few moments of chit-chat, I laid out my "situation." I mentioned a "significant amount of money" coming in and the fact that my wife and I had separated, and that I therefore had "concerns around that money."

James and Mike seemed to view this as reasonable. Thoughtful and relaxed, they probed for details, about my marriage, my family (did I have children?) and my assets. Whatever structure I set up wouldn't be to "defraud a creditor as such," James explained; it would be to help me "safeguard" future earnings. They both seemed quite interested in helping me do that.

I wondered out loud whether there was some way to avoid listing my assets under my name. Wasn't that something a BVI company could help me with?

James laid out my options. Most clients set up a BVI company, he explained, with shares listed in their own name, which would be public. "But then what people do to avoid that," he said, "is they put the shares in a trust. So you have the BVI company and the trust. And the trustee of that would be Tortola Trust BVI Ltd. So we would be the shareholder. So you could say it's definitely not in your name, it's in our name."

This is one of the ways to accomplish what's known as "layering"-putting degrees of separation between the public face of the company and the person that a creditor or a government is really interested in: the Ultimate Beneficial Owner. All of the due diligence requirements in the BVI rest on being able to provide that name when a court demands it. That's one of the reasons that, as of last year, you could no longer use "bearer" shares in the BVI. Bearer shares put ownership of a company in the hands of whoever physically held the shares; if the shares for Bob Island Inc. were kept in Bob's lawyer's safe, the lawyer became the owner.

With the elimination of bearer shares, the owner's name can't be completely hidden. But even so, layers can make the digging more difficult. James tried to explain the intricacies of the company-trust-trustee arrangement, and I tried to push him for assurances that my identity would be protected. "I wouldn't recommend, you know...we're not going to lie," said James, somewhat hesitantly. "But, 'Have you got any assets in your name?' No."

Wasn't that a bit risky, I wondered-to make someone else the legal owner of my assets? Yes, actually. It would be possible, James admitted, for the firm to remove me as director of my company, cash in my assets and hide them "somewhere else in the Caribbean." All of us in the boardroom had a good chuckle about that. And James said the firm had insurance to protect me.

As for what I could do with the assets held by my company, well, I could do anything. Although, "if you wanted to buy a nuclear power station," he said, grinning, "we may have some issues with that."

James and Mike both recommended that I get tax advice from my accountant before going further. (My accountant had already told me that if I wanted to form one of these companies, he'd recommend I start working with another accountant.) And they would need my passport and other details, such as a utility bill to prove my residency, to meet the government's "Know Your Client" requirements. A few minutes later, when James had left, Mike took me through the application and fee schedule. "Once we are the legal owners of the trust and the trust's assets, that's where the confidentiality is working at its best," he assured me. "If somebody comes knocking on the door saying, 'Are you looking after Mr. Trevor Cole? We want to find out this, that and the other,' we'll just go"-he shrugged-"Sorry."

A lot of people, he added, like to list their tax adviser as the point of contact on certain documents. "It's just more murkiness for people to get through." And if I was willing to provide more information on the nature of my assets and the purpose of my company, there was always the option of paying their firm to act as the director of my company. "It removes you further from the scene of the crime, if you like."

Over the next two days, I met with three other firms. In the blue-stuccoed Akara Building, above a small photography studio and an office for the BVI Tourist Board and Film Commission, I found the Panamanian trust company Mossack Fonseca. There was no elevator to take me to the third floor, just a narrow, dimly lit staircase with steps covered in chipped tiles, and the office at the top of the stairs was more humble than Tortola Trust's. There I met with two women-Daphne, from the island of Dominica, and an older woman named Rosemary, who was the managing director.

Throughout our meeting, Rosemary eyed me with some suspicion, but tried to accommodate my concerns about keeping my identity secret. "I understand what you're asking," she said. "You want confidentiality. You want to be anonymous. You don't want anybody to know that you are behind the company. And that can be done. Lots of big corporations and lots of individuals do it." But when I brought up the topic of layering, she became adamant. "You should not even be talking to us about layering."

Why was that?

"Because it is a no-no," said Rosemary. "It's illegal. Layering is illegal." What I could do was tell them I wanted to set up a few companies. I could tell them the structure I wanted. I could even ask for their help setting up a structure for, say, inheritance purposes. "But not layering purposes," she insisted.

After lunch-and a chat with a nice New Zealander named Steve, who was in Tortola shopping for a yacht-I entered the offices of the AMS Group, with branches in Hong Kong, London and Nevis. Here in the BVI, they're located in Sea Meadow House, a two-tone building a short distance from the centre of Road Town. My contact was Nicholas, an affable Brit, reminiscent of a young John Hurt, who showed me into a spacious and well-furnished boardroom.

This time I refused to divulge the source of the money I was getting, or what I wanted to do with it. Nicholas took it in stride, wanting only assurances, for now, that the money was from something "legitimate." He explained that half the firm's business comes from Asia, and they never see the end client. They work mostly with "introducers"-legal or accountancy firms that do all the due diligence work in their own locality and that might order up 10 companies by e-mail and get them that day because there was no onus on AMS to gather any information on the client. But that information had to reside somewhere.

"It's not like the good old days," said Nicholas, a little wistfully. Once, a BVI company was like a packet of biscuits. "It would be sold on and sold on and sold on. And no one knew who on Earth ended up holding the packet of biscuits."

When I brought up the notion of a nominee director, Nicholas admitted that some firms in the BVI offered that service-a few hundred dollars a year might get me a resident of Nevis who would act as a director with a rubber stamp to sign documents. But then he told me something surprising: If there was ever any trouble, my director would run away and my name would show up in court after all. "If you are a nominee director and you're getting paid $300 a year, you are not going to risk your neck for the person you are protecting," he said. "You send in your resignation letter, and then all gets revealed."

I liked Nicholas. I figured if I ever actually wanted to set up an offshore company, he'd be my guy. Before I left, he offered me another insight: "If you really want to confuse people, you can have Chinese characters in your company name as well. We sell tons of them."

One last meeting remained, and this time I wanted to go a step further-to formally begin the process of buying a company.

At Overseas Management Co., housed in a three-storey pink building off Waterfront Drive, I climbed up a dingy and dirty stairwell to the second floor and entered a cramped reception. The ceiling was festooned with Christmas ornaments, and I was led not to a boardroom but to a cluttered office with a small table and two chairs. There I met with Anelena, a petite Panamanian woman with a bright smile.

I almost felt bad for Anelena, because I'd decided to present myself as a busy, uncommunicative guy who needed a company and needed it fast, and sweet Anelena seemed a little bewildered. But she did her best to accommodate me.

"Yes, we can take care of this," she began. It turned out that OMC was another company whose head office was in Panama. Anelena said she would be happy to have the Panama office e-mail me the information requirements, which included a passport, and a list of shelf companies to choose from. I asked if it would be possible to just print out the list right now and let me choose a company while I was there.

"Ehhhh, let me see."

She came back more than 10 minutes later, without a list, and began asking me questions. "You live in Canada, right? And you want to buy a company. What is the purpose of the company?"

Protection of money, I said. And confidentiality.

"Okay," she said, making a note. "I can give you the list right now. But, you know, in order that you can get the company definitely we will need a copy of the passport."

I asked if they could provide a nominee director.

"Ehhh, we have nominee directors. They are located in Panama." Anelena paused for a long moment. "Do you have a business card?"

I said I didn't.

"Uh huh," she said, and gave a nervous giggle. Twice more she mentioned that to start the process she would need a copy of my passport. All I wanted from her, I said, was that list of shelf companies.

"Mmm hmm," she said, and giggled. We chatted for a while about the lack of seafood restaurants in Road Town until I suggested she go out and get that list of companies I wanted. She left and, finally, 16 minutes later, she returned.

"These are the list," she said, laying two sheets of paper in front of me, one showing 15 names pre-checked and available for incorporation, and another with a list of 32 shelf companies ready to go in five jurisdictions.

I looked down the list of BVI companies and circled a name: Ventor Holdings Ltd. That's the one I want, I said.

Anelena said she would send me all the requirements, repeating again the need for a passport. She asked, "What is your occupation?"

"Do you need to know that?"

"Ehh, yes."

"I'm an author."

Anelena paused for a second, a little taken aback. "An author?" But she made a note and recovered quickly. Once they'd received all my details and approved me, she said, I could have my company within two days.

The next morning I headed back to the Beef Island airport. My cabbie explained that his name was James, but everyone called him Handbroke. "Because when I was small I broke my hand." On the tarmac, on the way to the airplane headed to Puerto Rico, a BVI resident nodded toward a sleek white Falcon 900EX jet, its tail splashed with the image of an enormous blue eye. That's Sir Richard Branson's plane, she told me with an admiring smile; everyone knew that eye.

Richard Branson, at least, isn't trying to hide. But then, he lives here. He doesn't need to.