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2016/04/08

CHI FINANZIA IL TERRORISMO?


Pasqua di sangue per i cristiani morti a Lahore, in Pakistan, vittime già dimenticate – insieme a molti musulmani – di una violenza cieca ed assurda. Il moltiplicarsi degli attentati nel mondo e la presenza dell’ISIS in molti paesi pone però anche il problema a livello internazionale su chi e come si finanzia il terrorismo. 

In questo senso se l’Italia è stata per ora immune da attentati di grande visibilità vi sono però indizi dell’esistenza di focolai terroristici in Italia, in particolare a Milano, che dovrebbero far riflettere non solo gli specialisti di finanza nei servizi segreti italiani. 

Come sottolinea da tempo Giuseppe Pennisi in una serie di interventi su “Avvenire”, “Formiche” e “Sussidiario” si sa che l’economia “sommersa” è una delle fonti privilegiate del terrorismo in Europa (e in Italia in particolare, a ragione dell’ entità del sommerso nel Pil). Quando il terrorismo era di matrice Al-Qaeda, si parlò a lungo di un fenomeno poco studiato: la micro-finanza del terrorismo che spesso si annida in una rete articolata e molto diffusa dietro il paravento di fondazioni e associazioni islamiche ufficialmente a scopo caritatevole. 

Ciò non vuol dire che tutte le moschee sono ruscelli che alimentano il fiume del terrorismo, ma che spesso attorno alle moschee più radicali si sviluppano fonti di finanziamento singolarmente forse modeste, ma che rappresentano un sostegno importante per una rete disseminata sul territorio. Le fonti principali erano e sono però ancora i Paesi arabi, “amici” (anche se formalmente alleati con l’Occidente) che supportano queste fondazioni (a volte in quanto integralisti, a volte perché sotto ricatto). In questo senso – sottoliea ancora Pennisi - la riunione annuale della World Islamic Banking Conference (l’ultima si è svolta lo scorso dicembre a Manama, capitale del Bahrain), è una sede importante di raccordo in cui tra una preghiera e l’altra e tra un tè e l’altro, si parla d’affari. 

L’associazione conta ben 32 istituzioni bancarie islamiche e da anni è sede dei più importanti organismi internazionali per lo sviluppo della finanza islamica nel mondo: l’Aaoifi, che promuove standard unici per i principi contabili e di governance per le banche che seguono la sharia; il Lmc che sviluppa un mercato interbancario islamico; l’Iifm dedicato alla integrazione di un mercato di capitali del mondo islamico. Alla riunioni non mancano banchieri e consulenti finanziari occidentali, esclusi però dalle sessioni a porte chiuse dedicate agli “impegni” per le fondazioni “culturali” (e non solo) di proselitismo e di difesa dei valori della sharia.

Già dieci anni fa un documento dell’amministrazione finanziaria degli Stati Uniti sui capitali all’estero della rete terroristica avrebbe documentato che una buona parte dei 3 miliardi di dollari appartenuti al Governo di Saddam Hussein già depositati in banche estere soprattutto in Siria, Libano e Giordania sono finiti non si sa dove e che queste risorse finanziarie erano state accantonate sia per il supporto alla guerriglia in Iraq sia per finanziare il terrorismo. 

Molte cose nel frattempo sono cambiate: il Califfato dispone oggi di riserve petrolifere e di greggio destinato al mercato nero in Occidente e in Estremo Oriente. Quindi è abbastanza autosufficiente per le proprie esigenze “statuali” (chiamiamole così) e per le forze armate. Inoltre, le “cellule” sparse in Europa operano con “terrorismo lowcost”. Si stima che la strumentazione terroristica per gli attentanti a Parigi abbia avuto un costo di 20.000 euro e quella per gli attentati a Bruxelles di 15.000 euro; li si finanzia con la questua nelle moschee (un crowfunding terroristico), con lo spaccio di droga e con il “pizzo” in certi quartieri (come potete immaginare anche a Bruxelles...). 

Un campo relativamente nuovo e di grande interesse è quello dell’analisi economica dell’impiego di kamikaze reclutati tra giovani cresciuti in ambiente occidentale oppure “occidentalizzato” (i palestinesi nati e diventati adulti in Israele) dove giovani musulmani esaltati, cresciuti negli Usa o in Europa oppure nelle aree più occidentalizzate del Medio Oriente, lo compiono non per andare in un Paradiso (in cui spesso non credono affatto), ma per sconfiggere il nemico in una guerra millenaria in cui l’intrusione occidentale avrebbe, agli occhi loro e dei loro maestri, tolto il primato economico, scientifico e culturale dell’Islam. Lo scontro con le libertà, la democrazia e il mercato rende più acuta la decisione di commettere gesti estremi come il suicidio-eccidio. 

Ciò spiega la scelta di terroristi istruiti (oltre che probabilmente laicizzati) per le missioni più importanti. Attenzione: il suicidio-eccidio è contrario al Corano dove si prescrive che l’uomo non deve uccidere “neanche una formica” e la “guerra santa” è consentita unicamente per la riconquista e difesa dei “luoghi sacri”. Il kamikaze o è imbevuto di eresia, ossia di un’interpretazione distorta del Corano, oppure considera il suicidio-eccidio come strumento di una guerra laica tra civiltà necessariamente in forte contrapposizione. Dobbiamo renderci conto che il contenimento del terrorismo è un “dovere pubblico internazionale”, che non può essere fornito da un solo Paese e di cui beneficia tutta la comunità mondiale.

Dopo le risoluzioni Onu anche Siria e Libano hanno dato la loro disponibilità a operare di concerto con il resto del mondo per bloccare i soldi del terrore. Ciò implica vigilare su conti sospetti di “cellule” terroristiche dovunque esse siano ma questo significa anche una necessaria e ben maggiore vigilanza bancaria. 

Si sente spesso questa frase in tempi di lotta al terrorismo:

Anche se non tutti i musulmani sono terroristi, la gran parte dei terroristi sono musulmani.

Sappiate che si tratta di una frase del musulmano saudita Abdel Rahman al Rashed che all’epoca dell'intervista di Oriana Fallaci era direttore della televisione Al Arabiya e futratta da un suo editoriale e riportata nel libro “Oriana Fallaci intervista se stessa – L’apocalisse”.

2016/03/25

Terrorismo


La realtà è che davanti al terrorismo non abbiamo risposte, non abbiamo risorse, non abbiamo una strategia, non sappiamo che cosa fare. 

La nostra mentalità non capisce il terrorismo, non lo ammette: ci sembra incomprensibile, violento, barbaro, indiscriminato, assurdo scatenare un terrore che non ha logica e se la prende con inermi. In passato in Italia abbiamo avuto periodi bui, bombe rosse e nere con attentati e vittime, ma erano piccoli gruppi di fanatici senza radici e che infatti furono sgominati.

“Questo” terrorismo invece ha ora diffuse complicità internazionali, l’alibi di una religione, ha assoldato kamikaze e finanziamenti senza fine, è cresciuto ormai “dentro” l’Europa dove ha tessuto una rete che gode di omertà, appoggi, simpatie diffuse tra centinaia di migliaia di persone, sicuramente minoranza tra milioni di musulmani europei, ma in crescita esponenziale e virtualmente senza controlli.

Possiamo difendere mille punte sensibili ma è impossibile difenderli tutti. Una bomba in un centro commerciale scatenerebbe il caos e non puoi controllare chiunque entri in un locale, posteggi un’auto o trasporti una borsa. La stessa presenza dei terroristi-kamikaze ha rovesciato la questione: come puoi immaginare che chi ti sta di fianco in quell’istante vuole uccidersi ed ucciderti con lui? Una barriera invalicabile di mentalità, lingua, religione, abitudini, stato sociale che innalza fatalmente nuovi muri e scava distanze.

Non ci sono risposte per un’Europa che si trova in questa situazione anche perché ha perso ideali, anima, volontà di riscossa, unicità di intenti. E’ attaccata perché debole, divisa, attonita, impreparata: non condivide indagini, intelligence, priorità. Abbiamo perso? Sicuramente sì, ma forse possiamo giocare ancora qualche pedina se evitassimo il buonismo inutile e – non siamo forse in guerra? – se si avesse finalmente perlomeno il coraggio di prendere decisioni comuni. Non è possibile che la polizia belga francofona non parli invece con quella fiamminga, che a Bruxelles non si sappia su che cosa si indaghi a Parigi, che uno dei terroristi di martedì era stato preso in Turchia otto mesi fa, estradato in Olanda o in Belgio ma poi comunque rilasciato. 

Ma non si può anche continuare ad ammettere migranti senza identificazione, senza prendere e pretendere (anche “a forza”!) le loro impronte digitali. D'altronde se ciascuno di noi va all’estero deve mostrare un passaporto e chi non ce l’ha deve comunque essere identificato in modo certo: vale per tutti!

Ritorna fortemente il concetto che certamente non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani e allora o arriva una risposta corale, limpida, conclamata, veemente dalle comunità islamiche europee (e non arriva mai, e è grave: anche a novembre in Italia fu flebile e impercettibile) di dissociazione e di protesta o servono leggi nuove, rigorose, adatte alle necessità. Limitazioni religiose, di culto, di espressione? E’ un concetto che fa a pungi con il diritto, ma se siamo in una emergenza tutti i musulmani devono sentirsi coinvolti e responsabili: non è possibile avere pericolose zone d’ombra o dare coperture dove si inseriscono singoli criminali che tali restano, anche se si ammantano di fanatismo religioso. 

E’ tardi perchè ormai in Europa sono troppi? Certo, ma se non fermiamo il flusso o lo regoliamo sarà sempre peggio e definitivamente vinceranno “loro”. Se io, cristiano, comincio a ammazzare la gente la polizia forse non mi arresta e con me i miei complici o fiancheggiatori? 

Il punto è che può integrarsi chi lo vuole (e sicuramente molti lo vogliono) ma quando si rifiuta l’integrazione e anzi l’essere “diversi” diventa un titolo di merito all’interno di una comunità religiosa guadagnandosi il paradiso ammazzando il prossimo, quale deve essere la nostra risposta? Credo che come minimo debba anche esserci la possibilità di detenzioni preventive, identificazioni immediate, espulsioni “vere” e non solo formali, senza ritorno. Se sono vere le cifre di centinaia di militanti ISIS in giro per l’Europa occorrono misure di emergenza fatalmente discriminanti, ma in fondo di legittima difesa.

Vale più una limitazione alla libertà o il rischio di centinaia di morti ammazzati? Purtroppo “loro” vogliono distruggerci, non ragionano, non discutono: odiano. Noi NON dobbiamo odiare, mi ripugna farlo, ma dobbiamo pur prendere atto di quello che avviene e allora - come cittadini italiani ed europei - dobbiamo cercare di difenderci e in questo senso la prevenzione, il controllo, le verifiche su chi arriva sono indispensabili. Non volerlo fare, dimenticare, minimizzare è complicità al nostro suicidio.

2016/03/12

COME SI DISTRUGGE LA DEMOCRAZIA




Snaturare i referendum e le “primarie” significa uccidere un sistema più moderno e diretto di democrazia, impedire alla gente di esprimersi e costringerla a rimanere sempre più dipendente dai vertici di partito allontanando i cittadini dalla politica partecipata e impedendo che possano esprimersi direttamente sulle persone e le questioni importanti.

E’ un discorso serio e complesso ma che va affrontato perché gli italiani non sono più degli elettori analfabeti o ideologizzati e sono sempre di più quelli che volta per volta vogliono distinguere il valore delle singole persone e sui temi etici scelgono di testa propria, senza essere condizionati - come una volta - dai vincoli e dalle indicazioni di partito.

Il REFERENDUM PROPOSITIVO (e non solo abrogativo) sarebbe un sistema eccellente e democratico per sentire il parere degli elettori, ma va tenuto su temi etici chiari o importanti, su “linee di indirizzo” che il Parlamento dovrebbe poi osservare varando leggi conseguenti, non umiliando il sistema referendario che si sta riducendo solo a pareri su questioni di nessun interesse. 

Vi sembra logico spendere centinaia di milioni di euro per votare il 17 aprile sul “Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita del giacimento” ? A parte la grammatica claudicante non si capisce nulla della questione e come potrebbero mai i cittadini comuni esprimere un parere sensato su una materia così tecnica? 

Alla fine voterà meno del 20% degli elettori, non si raggiungerà il quorum e quindi il referendum sarà nullo, ma intanto si saranno buttati tempo e denaro. 

Aspetti che non sfiorano una Magistratura sofista che riesce a cancellare tutte le questioni vere per ammettere il voto solo questioni del tutto marginali e questa insensibilità di Magistrati in ermellino la dice lunga sul perché dei problemi del nostro paese. 

Oltretutto il prossimo referendum ha aspetti surreali: la mia regione non si affaccia neppure sul mare, quindi su cosa mai dovrei votare? 

E cosa volete capiscano del quesito gli italiani residenti in Australia o in Argentina, pure loro chiamati a queste dispendiosissime elezioni? (Già, votano anche loro!)

Ma perché i cittadini non dovrebbero piuttosto esprimersi su ben altre questioni, tipo se vogliono o no una repubblica presidenziale, se condividono la nuova legge elettorale, se accettano la porcheria delle liste bloccate con l’eliminazione del Senato. Oppure, perché non si vota sulla eliminazione delle regioni a statuto speciale, il federalismo fiscale, la riduzione dei parlamentari, la responsabilità dei magistrati, le coppie di fatto ecc.ecc. 

Questi sì che sarebbero temi “di indirizzo” importanti e che una nuova Costituzione dovrebbe poi recepire, non un semplice “si” o “no” a un testo costituzionale già preconfezionato – come saremo chiamati a votare in autunno - dove ci sono ovviamente cose buone e meno buone ma che fatalmente diventerà uno scontro politico pro o contro Renzi, pro o contro il PD e quindi non terrà conto della sostanza? 

Una Costituzione deve durare nei decenni, che senso ha il “prendere o lasciare” su un testo votato da un Parlamento tra l’altro delegittimato (perché dichiarato incostituzionale il sistema elettorale che lo ha eletto) e per di più da parlamentari che spesso hanno cambiato bandiera passando da uno schieramento all’altro solo nella speranza di auto-conservarsi?

Ancora più incredibile che per il referendum costituzionale non servirà neanche il “quorum” (che ci vuole invece per le trivelle in Adriatico!) ovvero basterà una minoranza per decidere per tutti e così cambiare la Costituzione: ma vi sembra logico?

LE PRIMARIE sono un altro sistema per permettere di individuare candidati a sindaco graditi agli elettori, ma quello che sta succedendo è semplicemente vergognoso, sia a destra che a sinistra. 

Eppure le primarie sarebbero utili visto che con l’attuale sistema elettorale amministrativo il sindaco dovrebbe avere un ruolo sganciato dai partiti che invece vogliono condizionare ogni aspetto della vita comunale e quindi è importante avere dei candidati che rappresentino la realtà del corpo elettorale..

Ma le PRIMARIE fatte così sono assurde con il PD si sta auto-massacrando cadendo nel ridicolo e è triste vedere il maggior partito italiano che a Napoli sia in evidente collusione con gentaglia che ne falsa il risultato, mentre a Roma migliaia di schede bianche vanno e vengono dai conteggi solo per dimostrare una falsa partecipazione al voto un po’ meno scarsa della desolante realtà. 

Non che a destra si stia meglio: Berlusconi le “primarie” non le ha mai volute, a nessun titolo e a nessun livello, ma il suo “voglio – posso - comando” ha ormai fatto il suo tempo, anche se lui evidentemente non se ne rende conto. 

Anche per questo milioni di elettori restano poi a casa sconfortati, prendendo atto di contare meno di una zoccola che passeggi dalle parti di Arcore.

Nel caos e senza regole condivise tutti si inventano allora le consultazioni “fai da te” con risultati scontati in stile Corea del Nord, ricorsi, candidati sconfitti che corrono comunque per conto proprio. Risultato? Spappolamento degli schieramenti, moltiplicazione dei candidati e nessuna loro vera credibilità. 

Non solo, nei piccoli centri si è scoperto che chi si candida a sindaco - anche prendendo pochi voti e sapendo in partenza di perdere - ha comunque più possibilità di diventare almeno consigliere comunale e quindi di fatto ovunque è tutto un fiorire di auto-candidature.

Un gioco generale al massacro che alla fine premia marginalmente i partiti d’opinione che possono candidare chiunque sapendo che con la loro quota di voti “politici” possono sperare di andare al ballottaggio e poi magari addirittura vincere perché tra i pochi che votano al secondo turno, sempre di meno, prevale l’antagonismo del “contro” (tipo che chi è di destra vota Grillo per far perdere il PD, e viceversa). 

Risultato? Candidati di poca credibilità e nessuna capacità, crisi senza fine delle istituzioni e lenta agonia della democrazia. Sono cose di cui tutti ci accorgiamo ogni giorno, ma sembra che non ci sia più nessuno che veda queste cose e abbia un minimo di contatto con gli italiani normali.

CI STANNO FREGANDO, SAPPIATELO

2016/02/21

Maro', 4 Anni!


Il 19 febbraio sono trascorsi esattamente QUATTRO ANNI da quando i nostri due marò sono bloccati dalla “giustizia” indiana. Quattro anni di privazione preventiva della libertà senza neppure che a oggi siano state formulate contro di loro delle accuse chiare e circostanziate, un capo d’accusa e tantomeno si sia svolto un processo.

E’ inaudito che l’Italia si stia facendo prendere in giro in questa maniera non solo dopo aver svenduto ogni credibilità internazionale, ma soprattutto dopo essere stata fatta fessa per quattro anni da governanti indiani evidentemente molto più astuti dei nostri responsabili politici.  

Basta, per favore,  con i belati di certe fanciulle che – come la Mogherini – due anni fa ci raccontarono “Li riporteremo a casa”: questa è una vergogna mondiale che a causa di politici incompetenti sta coprendo di ridicolo il nostro paese. 

Immaginatevi se gli indiani avessero sequestrato due militari statunitensi, russi od israeliani! Ma noi ci siamo abituati a tutto, non abbiamo un minimo di spina dorsale, di decisione… per questo già sappiamo già che finirà debitamente insabbiata e nel nulla anche l’inchiesta sul nostro connazionale ucciso recentemente al Cairo. 

2016/02/08

Le verità nascoste di Schengen



Le immagine drammatiche che accompagnano i vari TG non possono lasciarci indifferenti e troppo semplicistica è l’opzione di sbarrare (ma regolarmente solo a parole) le frontiere europee. Abbiamo a che fare con esseri umani come noi e il dovere dell’accoglienza è sacro. L’Europa deve saper accogliere, ma proprio per poterlo fare deve darsi organizzazione, fondi e imponendo delle regole, facendole poi applicare e i governanti – a cominciare da quelli italiani – devono togliersi dalla testa l’idea di fare i furbi. Viviamo in una realtà simile a quando si scatena il panico in una sala chiusa: se scappano tutti insieme verso le uscite la gente si schiaccia da sola, se il deflusso è ordinato tutti si salvano.

Bloccare Schengen allo stato attuale significherebbe – al di là della retorica sui sentimenti europei - che l’Italia continuerà ad accogliere un illimitato numero di migranti dal “fronte sud” (e tra poco probabilmente anche dall’Adriatico), migranti che troveranno sbarrate le vie del nord e quindi – respinti – rimarranno in Italia. La prima cosa da fare è quindi decidere o almeno cercare di concordare una linea comune, ma poi soprattutto applicarla.

Se stabiliamo che in Europa devono arrivare solo profughi “politici” bisogna informare tutti gli altri che non saranno più ammessi, ma allora poi gli altri - purtroppo - bisogna veramente respingerli, e non lasciarli quindi partire. Gli oppositori a regimi totalitari (i “politici”) se invece saranno ammessi vanno “verificati” fuori dall’Europa ed incanalati in modo organizzati. Giusto quindi aiutare la Siria e creare l’ “avamposto” in Turchia e/o i centri di identificazione, ma chi non dà le sue generalità controllabili e complete deve sapere prima che non verrà accolto.

A monte il problema è comunque ridurre il numero dei profughi e per fare questo deve risorgere una Europa “politica” ovvero capace di trattare e discutere nel proprio interesse con i vari governi “esterni” a cominciare dalla Siria. E’ criminale sollecitare le guerre civili interne (Libia, Siria) e poi lamentarsi delle conseguenze. Intanto prendiamo atto una volta per tutte che la democrazia e il metodo parlamentare non sono sempre è merce esportabile, che l’ISIS se ne frega di queste cose e quindi imporre i nostri canoni di pensiero agli estremisti religiosi e fanatici è semplicemente impossibile.

In questo quadro l’Italia ha per anni fatto la furbetta sperando che i migranti – incontrollati – sparissero poi al più presto verso Nord e passando così ad altri il problema. Gli altri paesi non sono stupidi e non ci stanno più, ci chiedono di identificare chi arriva (il che tuttora non sempre si fa) e farlo concretamente, non a chiacchiere. A oggi non stiamo riuscendo ma neppure vogliamo riuscirci anche perché è nato e cresciuto il “business del profugo”, la malavita siciliana ci sta sguazzando da un pezzo sui transiti e sulla pelle dei poveracci e non è stato mai lanciato chiaramente l’avviso “Non si entra”, facendolo applicare.

Deve valere questo per i migranti “economici”, termine spaventoso per indicare quelli che comprensibilmente cercano un futuro migliore, ma senza alcun altro titolo per farlo. Certo sono essere umani con i loro diritti ma se si stabilisce che non sono ammessi se non in numero prefissato devono capire che per emigrare bisogna rispettare quote e caratteristiche, basta con l’anarchia.

2016/01/29

A proposito di gender e famiglia


Non so voi, io la famiglia la vedo come nella fotografia in alto. Un padre (di sesso rigorosamente maschile), una madre (di sesso rigorosamente femminile) una nidiata di marmocchi, poi d'accordo, le famiglie moderne sono allargate e vanno doverosamente aggiunti almeno i nonni, qualche zio, i cugini vicini e magari anche quelli lontani che si rivedono una volta all'anno nelle feste comandate, ma sempre di famiglia parliamo. Lo so che sono vecchio ho delle idee che diventa difficile sradicare. Lasciate che resti nel mio brodo e pensatela come volete ma leggetevi il testo sotto, poi magari discutiamo.

Sarebbe opportuno che su di una questione seria come il riconoscimento delle coppie omosessuali e relativi diritti – comprese le eventuali adozioni – ci fosse una discussione seria, ponderata, che vada al di là degli schieramenti partitici. Credo che per inquadrare il problema dovremmo guardarci indietro e chiederci come mai oggi spesso ci lamentiamo di come la nostra società, la famiglia, la comunità sociale registri una terribile involuzione che si ripercuote sulla stabilità stessa del paese da tutti i punti di vista. 

Se andiamo alle origini di questa crisi strutturale scopriremo che alla base ci sono stati anche tutta una serie di atteggiamenti, mentalità, leggi, cedimenti, compromessi che poco alla volta hanno distrutto i principi stessi di una comunità umana e tutti ne possono vedere gli aspetti negativi. Se la droga diventa libera, se i diritti cancellano i doveri, se il senso di responsabilità diventa una presa in giro, se i genitori sono assenti e non sono da eempio, se la scuola spesso non è all’altezza, se le famiglie sono sfasciate, se il risparmio è disprezzato, se a vincere sono sempre i “furbi”, se ogni debolezza o vizio diventa “scelta personale di libertà”, se ci si ammazza per un telefonino e si dimenticano o si cancellano i doveri, alla fine non crolla solo un paese ma – come avviene – soprattutto si incrinano i rapporti tra le persone e le generazioni. 

Per questo la discussione sulle coppie omosessuali imporrebbe di riflettere non solo sui “diritti” dei singoli, ma sulle conseguenze generali che tutta una serie di scelte portano all’equilibrio sociale. Credo che debba essere garantito il diritto degli/delle omosessuali ad esprimere la propria personalità ed avere tutta una serie di diritti di coppia: diritti civili, fiscali, patrimoniali, pensionistici, ma non che le scelte di una minoranza condizionino una intera società. 

Se ognuno deve essere libero di pensarla e vivere come vuole, un conto è una scelta personale, un’altra condizionare con questa scelta persone estranee, come i figli potenzialmente adottati. Diciamocelo con franchezza: esiste oggi una lobby gay che di fatto controlla e condiziona l’informazione, lo spettacolo e anche la politica, per esempio è stato incredibile vedere come siano stati moltiplicati almeno per cinque il numero delle persone partecipanti alle manifestazioni gay di domenica scorsa, senza che nessuno avesse il coraggio di obiettare qualcosa... 

Era sbagliato criminalizzare, emarginare ed ironizzare ieri sugli omosessuali, ma oggi si ridicolizzano quelli che chi chiedono semplicemente la normalità di una società che - se è arrivata fin qui nel correre dei secoli - in fondo è solo perché c’è una differenza naturale tra uomo e donna. In questo senso non servono crociate religiose o anatemi, ma ricordare per esempio che ci sono migliaia di coppie “normali” che attendono per anni un bambino in adozione e di cui non si parla mai. 

Soprattutto ricordiamoci che le donne italiane generano 1,3 figli a testa mentre 2,1 sarebbe il minimo per mantenere la popolazione, eppure oggi Italia non si fa molto per difendere le famiglie, cominciando da quelle “normali”.  Guardate all’estero come si riempiono le culle con una tutela concreta della maternità e del lavoro, con aiuti per le scuole, gli inserimenti, gli asili-nido, i contributi fiscali, le detrazioni... in Italia siamo spaventosamente indietro. 

Perché allora si discute tanto di figli da fare adottare alle coppie gay e non si sveltiscono per cominciare le pratiche di adozione italiane ed internazionali, un “buco nero” con violenze inaudite verso aspiranti genitori e potenziali figli, affogate spesso in un mare di corruzione? C’è mai stato un dibattito consapevole in Italia su queste vergogne burocratiche di coppie che per anni e anni devono attendere senza neppure sapere se verrà loro assegnato o meno un figlio? 

E poi le questioni “scientifiche” dove si è partiti da aiutare la maternità ma per infilarsi poi in una spirale sempre più folle ed economicamente miniera d’oro per cliniche, medici e ricercatori. Anche qui le questioni si giocano sempre sui “diritti”, ma poi nascono e si moltiplicano situazioni sempre più irreali ed assurde: spermatozoi conservati per anni e impiantati nel ventre di no-mamme ma di uteri in affitto, selezione di geni e di genere, crescite in vitro, banche di seme e manipolazioni genetiche, con gente che va e viene dall’estero “perché là è un mio diritto riconosciuto”. 

Sullo sfondo – come sempre - il solito “dio-denaro” per cui se paghi ottieni e puoi, altrimenti aspetti. Per favore, fermiamoci.

2016/01/15

"I Don't Want To Miss A Thing"



"I Don't Want To Miss A Thing"




I could stay awake just to hear you breathing

Watch you smile while you are sleeping

While you're far away and dreaming

I could spend my life in this sweet surrender

I could stay lost in this moment forever

Every moment spent with you is a moment I treasure




Don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



Lying close to you feeling your heart beating

And I'm wondering what you're dreaming,

Wondering if it's me you're seeing

Then I kiss your eyes and thank God we're together

And I just wanna stay with you

In this moment forever, forever and ever



I don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



I don't wanna miss one smile

I don't wanna miss one kiss

Well, I just wanna be with you

Right here with you, just like this



I just wanna hold you close

I feel your heart so close to mine

And just stay here in this moment

For all the rest of time, yeah, yeah, yeah!



Don't wanna close my eyes

Don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



I don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

and I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



Don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep, yeah

I don't wanna miss a thing

I don't wanna miss a thing

Testi e musica degli Aerosmith

2016/01/05

Trappole climatiche e antropogeniche, in sintesi: ci stanno fregando!



Tra revisionismi, correzioni e ipocriti silenzi, la religione del clima esce dalla Cop21 di Parigi piuttosto acciaccata. All’apparenza compatta nell’obiettivo prometeico: contenere l’aumento temuto della temperatura del pianeta, entro la fine del secolo, sotto i due gradi (1,5). 

In realta’, tra le pieghe, pesantemente, segnata da divisioni, scetticismi, sospetti, fardelli propagandistici e aspettative non credibili. Premessa: il dogmatismo climatico e’ segnato da quella che si potrebbe definire la trappola della CO2. Vale a dire, la pretesa di ridurre il clima, fenomeno caotico per eccellenza, a un modello di laboratorio, astratto e informatico, movimentato da un solo fattore: la quantita’ di CO2 antropogenica immessa in atmosfera. 

Operazione da sciamani. 

Predire matematicamente il clima, ammonisce il bistrattato professor Zichichi, comporterebbe l’uso di equazioni differenziali con un numero di variabili troppo elevato per consentirne la soluzione. Impresa razionalmente impossibile. E che riporta, piuttosto, alla mente il diavoletto di Maxwell che divide le singole molecole di gas (per ridurre la probabilita’ a certezza) o l’apologo di Laplace: “ …se esistesse una possibilita’ di calcolare e misurare i movimenti di ogni singola particella fisica, sarebbe possibile descrivere passato, presente e futuro del mondo con esattezza matematica…”. 

Esattamente quello che pretendono di fare gli ideologi dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il club internazionale di esperti governativi custode della dottrina ufficiale sul clima. E’ ovviamente impossibile controllare le interazioni della meccanica del clima, al fine di prevederne l’evoluzione. Un calcolo che comporterebbe, esattamente come il diavoletto di Maxwell, la misura di ogni gas o composto atmosferico e del feedback con fattori, naturali e artificiali, variabili nel tempo. 

Impossibile. 

E cosi’, per comodita’ intellettuale, i modellisti del clima hanno ridotto gli algoritmi a una sola variabile: i tassi di CO2 antropogenica immessi in atmosfera. 

Rasoio di Occam? No: riduzionismo elementare. 

Che produce, percio’, modelli irreali, distanti da un effettivo rispecchiamento della realta’, artificiali e, puramente, ipotetici. Basti dire che vengono esclusi, dagli algoritmi della modellistica del clima, i fattori chiave dei suoi andamenti evolutivi, quelli naturali: attivita’ del sole, magnetismo terrestre, oscillazioni orbitali, irraggiamento cosmico ecc. Perche’? Non tanto per la difficolta’ di misurare tali fattori quanto una pretesa programmatica intenzionale: isolare l’attivita’ umana (la CO2 antropogenica) come esclusivo fattore di incidenza. Al fine di farne l’imputato unico del riscaldamento. 

Una metodologia, osserverebbe Einstein, poco “elegante”. 

Essa semplifica l’oggetto indagato, il clima, oltre il lecito e il necessario, riduce eccessivamente la complessita’ delle variabili e insinua nei calcoli un solo fattore ad hoc, una singola costante, i volumi di emissione della CO2, per giungere a esiti pre-determinati. Nella dottrina del clima, i tassi di emissione della CO2 antropica funzionano come una sorta di termometro artificiale: tarato su una scala in cui a ogni grado di misura delle emissioni corrispondono temperature. E a ogni grado di temperatura corrispondono eventi deterministici e effetti conseguenziali. Fino a una soglia, i due gradi di aumento rispetto alle medie attuali, che segna un avvento: l’inizio di un’epoca di catastrofi. 

Insomma: millenarismo. 

Nella letteratura dell’IPCC, l’evoluzione climatica viene raffigurata in modelli predittivi e “scenari” (a 20, 30 o 50 anni e piu’) fondati, tutti, sulle medesime premesse metodologiche e differenziati, negli esisti predeterminati, solo in base a assunzioni del comportamento umano. Davvero l’uomo funziona, nei modelli dell’Ipcc, come il prometeico regolatore del clima. Una proto-scienza, insomma, quella dell’Ipcc e una sorta di religione con tutti gli ingredienti conseguenti: la pretesa del devotismo dai credenti, l’irrisione degli scettici, la scomunica dei negazionisti. Dagli “scenari” proto-scientifici dell’Ipcc, si pretende di dedurne prescrizioni e dettare comportamenti per i policy makers, condotte dei governi e contenuti delle agende politiche. 

Il problema e’ che, col passare degli anni (siamo ormai con quella di Parigi del 2015 alla 21 conferenza sul clima e a 25 anni dalla “madre” di tutti gli eventi sul riscaldamento climatico, la Conferenza di Kyoto del 1997) la dottrina del clima mostra una crescente e imbarazzante contraddizione: l’allarme degli esiti catastrofici sale sempre piu’, e sempre piu’ ravvicinato, ma l’efficacia delle prescrizioni si rivela, crescentemente, discutibile. Di piu’: la CO2 antropica, isolata e esagerata come esclusivo fattore scatenante dei cambiamenti, si rivela una trappola. 

Laddove i suoi effetti sono descritti, ansiologicamente, come sempre piu’ minacciosi, la possibilita’ e la capacita’ anche solo di mitigarne il peso in atmosfera si dimostra impossibile. In 25 anni di politiche anticarbonifere e in 20 anni di denunce e prescrizioni dell’IPCC, la quantita’ di CO2 antropica in atmosfera e’ aumentata del 60%. E con essa i costi della (inefficace) mitigazione. I criteri e le ricette della dottrina del clima inchiodano i governi a condotte e agende tanto piu’ costose quanto inefficaci ai fini dell’obiettivo dichiarato: un arresto della crescita delle emissioni. 

Una dottrina, quella del riscaldamento del clima, nata per contestare la sostenibilita’ dei modelli di sviluppo dell’ultimo secolo e mezzo, si va dimostrando, crescentemente, insostenibile nella costosa inefficacia delle prescrizioni. Negli ultimi quindici anni, tralaltro, in cui la CO2 e’ sempre aumentata, non si registrano aumenti delle temperature. La correlazione clima-CO2 non appare cosi’ salda. Appare salda, al contrario, la correlazione inversa tra costi delle politiche climatiche e efficacia. 

Il burden economico delle politiche del clima, tra il 2005 e il 2015, e’ impressionante: 176 miliardi di dollari (dati World Bank del 2011). E solo considerando il global carbon market: l’enorme bolla alimentata dal trading delle emissioni e e dai progetti di investimenti verdi. A questi volumi della finanza verde vanno aggiunti il costo degli incentivi fuori mercato alle energie rinnovabili e la fattura legata all’ import dei loro componenti impiantistici. Questa enorme esplosione finanziaria (in cui e’ prevalsa, col tempo, la componente puramente speculativa) ha partorito un aumento delle emissioni di CO2 e un costo dell’energia crescente. 

L’80 % del fardello di queste politiche si e’ concentrato in Europa. Dove, non a caso, il decennio del global carbon market ha coinciso con la crescita lenta, la crisi del debito e l’arretramento manifatturiero. Il bilancio delle politiche verdi comincia a indurre stress nei governi. E a Parigi lo si e’ avvertito. La trappola della CO2 comincia a far sentire la stretta dei suoi lacci. E fa aggrovigliare i calcoli. Il bilancio dei 25 anni alle spalle pesa. Il 90% del mondo, formalmente, sottoscrive l’impegno della Cop21: tenere le temperature del pianeta sotto i due gradi di aumento nel 2050. Ma il pathway verso l’obiettivo e’ del tutto incerto, evanescente e problematico. Azzerare in 34 anni le emissioni di CO2 (aumentate invece, come abbiamo visto, del 60% negli ultimi 25) e’, palesemente, irrealistico. 

Nelle stesse conclusioni della Cop21 il problema si e’ evidenziato in modi bizzarri: da un lato, l’unanimita’ commossa sull’obiettivo di contenere l’aumento di temperatura sotto I due gradi; dall’altro, l’evidenza che gli impegni sottoscritti dai governi portano a sforare quel tetto e a attestare l’aumento delle temperature, oltre la soglia, a 2,7 gradi. Come dire: piena catastrofe (se stessimo alle assunzioni dell’IPCC). Quello che appare sempre piu’ imbarazzante per molti osservatori e policy makers e’ l’impasse delle politiche climatiste: raggiungere l’azzeramento delle emissioni serra al 2050, attraverso la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili e con il risparmio energetico, e’ tecnicamente irrealizzabile. 

I conti dell’IPCC non stanno in piedi. 

Il World Energy Outlook (WEO) smentisce, clamorosamente, scenari e aspettative del climatismo ufficiale: nel 2040 le fonti fossili e emissive peseranno, ancora, per il 55% dei consumi energetici (solo 15% di riduzione, quindi, rispetto ai consumi attuali); le fonti rinnovabili rappresenteranno solo un quarto del mix di energia del 2040 (e solo comprendendo il nucleare tra le fonti carbon free). Il nucleare, tralaltro, con buona pace di Greenpeace, e’ la fonte che conoscera’ il maggiore boost rispetto ai dati attuali (con una crescita del 60%). Questa e’ la vera novita’. Che gli ideologi dell’IPCC non avevano considerato. La percezione crescente di un ruolo limitato delle tecnologie rinnovabili come sostituzione delle fonti fossili, ha riproposto l’attualita’ e l’indispensabilita’ del nucleare come fonte carbon-free. 

Con evidente imbarazzo dell’attivismo climatista. 

L’esistenza di una quota di energia nucleare, attestata piu’ o meno intorno ai livelli attuali (6% di contributo di energia e 11% di energia elettrica) e’, ormai, ineliminabile in qualsiasi scenario realistico di mix energetico che intenda ridurre la quota di gas e carbone. Con 438 reattori attivi in 30 paesi e una potenza installata di 400 GWe, il nucleare e’ diventato imprescindibile nella contabilita’ della de-carbonizzazione: in termini di CO2 evitata e in termini di mix futuro. Senza la stabilizzazione della quota attuale di contributo del nucleare al portafoglio energetico non sarebbe ipotizzabile alcuno scenario di riduzione delle fonti fossili. 

Archiviati, ormai, irrazionalismi e emotivita’del post-Fukushima, la partita del nucleare si gioca non piu’ sulla sicurezza ma, solo sulla sua affordability economica: i costi degli investimenti fissi piu’ alti comparati a quelli degli impianti fossili (gas e carbone). Uno scenario destinato a cambiare: per il peso che assumeranno le politiche di tassazione della CO2; per la possibile ripresa di investimenti orientati al lungo periodo: le tecnologie di oggi consentono a una centrale nucleare un ciclo vita di oltre 60 anni (fino a quasi 100) rispetto ai 20 di media degli impianti fossili. 

In ogni caso la de-carbonizzazione totale e’ un mito da sfatare. Secondo il WEO lo scenario che ne prevede la realizzabilita’ al 2050, risultera’ gia’ vanificato nel 2040. I numeri evidenziano un racconto del tutto diverso. Le fonti fossili (gas e carbone) copriranno, alla fine del secolo, ancora oltre la meta’ del mix energetico. Le energie rinnovabili non riusciranno a essere sostitutive delle fonti convenzionali (gas, carbone e nucleare) e si attesteranno, inesorabilmente, intorno al 30% del mix energetico. Il risparmio energetico non portera’ a una decrescita dei consumi di energia ma, in base al cosiddetto paradosso di Jevons e al rebound effect (“una risorsa energetica, resa piu’ efficiente, e’ usata di piu’”) piuttosto a un aumento di essi. La de-carbonizzazione entro questo secolo, dunque, non esiste. E, conseguentemente, si dovranno rivedere le correlazioni, schematiche e perentorie, tra CO2 e temperatura imposte dalla dottrina del clima. 

Ben piu’ importante, nel medio-periodo, sara’ un dilemma che va insinuandosi, dietro l’immagine di facciata delle foto di gruppo di Parigi. Gli ultimi 25 anni, in contrasto con la retorica climatista, hanno registrato un aumento continuo delle emissioni di CO2. Secondo alcuni a tassi che sono i piu’ alti di sempre. Sara’ un caso che gli ultimi due decenni sono stati anche quelli di una prepotente riduzione degli indici di poverta’? E dell’ingresso, a un ritmo inedito nella storia moderna, di due miliardi di persone nel perimetro dello sviluppo? C’e’ una correlazione tra i due processi? C’e’ chi non si sente di escluderlo. E inoltre. Per i prossimi 34 anni (fino al 2050) la politica “ufficiale” del clima si propone non piu’ una “mitigazione” degli impatti emissivi ma, addirittura, un azzardato “azzeramento” delle emissioni fossili e, comunque, un loro drastico abbassamento. Quale sara’ l’effetto sociale di tale proposito? Come abbiamo visto l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni carbonifere e’, tecnicamente, irrealizzabile dal lato della generazione di energia (le fonti rinnovabili si attesteranno solo sul 30% del mix di energia e sul 40 % di quello elettrico). E allora? Il timore e’ che possa farsi strada l’idea di abbordare l’azzeramento delle emissioni dal lato, invece, dei consumi. 

C’e’ un dato piuttosto inquietante degli scenari dell’IPCC per il 2050: la scarsa considerazione e, spesso, il silenzio sul tema dei consumi energetici futuri. Qualcuno (R.Partenen & M.Korhonen, Climate Gamble) vi ha visto il gioco d’azzardo che allignerebbe nella contabilita’ energetica del climatismo ufficiale: la velleita’ e l’illusione di congelare, sul lungo periodo, i consumi di energia. Tendenzialmente la domanda di energia nel mondo aumentera’ del 37% gia’ nel 2040. La popolazione mondiale, dai 7 miliardi attuali, raggiungera’ i 10 miliardi di persone nel 2050. 

Gli scenari dell’IPCC riflettono scarsamente questo dato. Nei modelli piu’ ottimistici del club del clima si percepisce una convinzione: al 2050 la dotazione di energie rinnovabili sara’ tale da coprire, da sola, il livello attuale di consumi energetici. Appunto: il livello attuale! E che ne facciamo della domanda di energia di tre miliardi di persone in piu’ esistenti a quella data? Proiettato sulla popolazione mondiale al 2050, il livello attuale di consumi soddisfarebbe solo un terzo del fabbisogno energetico dell’unanita’. Per non parlare dei numeri diffusi nei programmi dell’ambientalismo radicale. Per Greenpeace al 100% dei fabbisogni energetici al 2050 provvederanno fonti rinnovabili (80%) e risparmio energetico (20%). 

Ma il fabbisogno ipotizzato al 2050 e’ l’attuale livello dei consumi. Vale a dire: 9 miliardi e mezzo di persone dovrebbero, necessariamente, dimezzare il consumo di energia oppure, in cambio, 3 miliardi e mezzo di persone dovrebbero rinunciare, quasi del tutto, a consumare energia e elettricita’. Il sospetto dei paesi poveri o in via di sviluppo verso le implicazioni sociali e sottosviluppiste della de-carbonizzazione e’, dunque, fondato. 

La trappola della CO2 puo’ operare, effettivamente, come un fattore di freno dello sviluppo: nell’impossibilita’ tecnica di sostituire le fonti fossili dal lato della generazione di energia, qualcuno immagina, follemente, di realizzare l’obiettivo dal lato dei consumi. Una prospettiva terrificante di impoverimento e di stagnazione. E una clausola dissolvente formidabile frapposta alle aspettative dei paesi in ritardo. Strano che questo sospetto sociale e malthusiano della retorica della de-carbonizzazione sia sfuggito alla Chiesa della Laudato si. 

A Parigi, invece, nel backstage delle celebrazioni ufficiali della Cop21, la diffidenza sociale e la preoccupazione del gamble stagnazionista si e’ fatta avvertire: con il nulla di fatto sulle ipotesi di massiccio ricorso alla tassazione del carbonio; con il rifiuto dei paesi poveri di aderire, sin da oggi, a impegni troppo vincolanti sulle emissioni future; con lo stesso ridimensionamento lessicale della de-carbonizzazione nei documenti ufficiali; con la richiesta di massicci trasferimenti verso I paesi poveri. La talpa del revisionismo climatico sembra aver iniziato a scavare.

Scritto da Umberto Minopoli per Il Foglio 6 Gennaio 2016

2016/01/03

Tributo alle vittime innocenti di una ferocia senza confini

Eccoli, sono loro, i volti delle vittime del terrore, di un tranquillo weekend di paura diventato l'incubo peggiore per centinaia di famiglie che in una notte hanno perso figli, padi e madri, fratelli e sorelle, nipoti e amici. Il terrore non deve sovrastare gli animi, l'odio non deve annichilire le menti, non posso parlare di vendette, non sarebbe umano ma l'indifferenza non è la soluzione allora chi ha cOlpito va punito, risalendo la catena dell'odio fino a chi l'ha generata, e non importa quanto in basso o in alto è necessario andare. E se dovessero arrivare a distruggere un popolo lo faranno affinché le genti non vivano sempre nel terrore.







La cosa peggiore è riconoscere, all’uscita della Morgue, i lineamenti di queste ragazze e di questi ragazzi, logorati dal tempo e dalla sofferenza, sul volto delle madri e dei padri venuti a riconoscerli. 

La cosa peggiore è avere 129 vite solo da immaginare. Vite di artisti, di ricercatori, di scrittori: immaginare quanto sarebbero state belle le loro canzoni, le loro scoperte, le loro opere. Immaginare quanto sarebbero stati belli i loro figli. Vite infinite.

La cosa peggiore è che, ora che tutti sono stati riconosciuti, non resta nessuno che possa pensare: lui, o lei, potrebbe essere ancora vivo.

La cosa peggiore è l’ignoranza di assassini che non sanno cosa significhi aver portato un bambino nella pancia o averla accarezzata, aver pianto quand’è nato, essersi svegliati di notte quando piangeva, essersi preoccupati quando faceva tardi con gli amici, aver gioito per la sua laurea, aver provato un misto di orgoglio e di nostalgia a vederlo partire per una grande città.

La cosa peggiore è pensare a tutti i genitori condannati a sopravvivere a un figlio, e alla pena che la strage di Parigi rinnova dentro di loro.

La cosa migliore è considerare quanto il dolore ormai appartenga al mondo, quanto sia globale e condiviso: le vittime venivano da 19 Paesi diversi.

La cosa migliore è la consapevolezza che le vittime sono più forti e lasciano segni più profondi dei carnefici.

La cosa migliore è riascoltare la dichiarazione della madre di Valeria Solesin, le uniche parole in italiano sentite in questi giorni alla tv francese - «nostra figlia mancherà molto a noi e anche al nostro Paese», e concludere che è davvero così.

La cosa migliore è rileggere Pasolini, in morte del fratello Guido: «Quanto sia il dolore di mia madre, mio e di tutti questi fratelli e madri non mi sento ora di esprimere. Certo è una realtà troppo grande, questa di saperli morti, per essere contenuta nei nostri cuori di uomini». Ma «senza il loro martirio non si sarebbe trovata la forza sufficiente a reagire contro la bassezza, e la crudeltà e l’egoismo». «Noi alla società non chiediamo lacrime; chiediamo giustizia».


L'articolo originale viene dal Corriere.it, a firma di Aldo Cazzullo. I nomi delle vittime li trovate sul web. Sempre sul web potete trovare tutto, volevo che il ricordo fosse perpetuato dai volti prima che col tempo svaniscano.


2016/01/01

Zuppa di smog a colazione, pranzo e cena...



Scritto da Nicola Porro per il giornale.it

La mini polemica tra il sindaco Pisapia e Beppe Grillo su smog e alberi tagliati a Milano, conforta la tesi dello storico Robert Conquest: «Tutti sono di destra nelle cose di cui si intendono».

Pisapia sembra un pericoloso conservatore quando ricorda al leader dei Cinque stelle che sì, a Milano, sono stati tagliati circa cinquecento alberi, ma per far posto ad una verde metropolitana. Entrambi, vittime dell’integralismo ambientale, sbagliano però il bersaglio.
Non è certo che questo inquinamento sia così mortale come lo dipingono (tra poco lo vedremo) ma è sicuro che nulla ha a che vedere con il mito della deforestazione. In Italia si realizza, i sorrisi si evitino please, un censimento pubblico degli alberi. Ebbene non è mai esistita una stagione (in migliaia di anni dicono gli esperti) con un maggior numero di foreste. 

Vi sembra grossa? Anche a chi scrive, ma è così: abbiamo 210 alberi pro capite. Negli ultimi dieci anni, mentre ci raccontavano del consumo del suolo e piripi piripa, in Italia abbiamo piantumato quasi fossimo dei maniaci di Hay Day. Ecco i numeri totali: nel 2005 avevamo 10,4 milioni ettari di bosco (circa un terzo della nostra superficie); dieci anni dopo l’estensione è salita ad 11 milioni. Il che vuol dire 600mila ettari di boschi in più. Nella sola Lombardia si sono sviluppati 26mila ettari di boschi e foreste aggiuntivi. Tra un po’ gli alberi diventeranno come i cinghiali in Maremma: un discreto fastidio per gli abitanti del luogo.

La relazione tra deforestazione ed inquinamento non funziona più. Anzi, a voler essere polemici essa si sarebbe invertita: più alberi uguale più inquinamento. Tocca inventarne un’altra. E la tendenza riguarda l’intero continente. L’Europa (la fonte questa volta è Forest.org) dal 1990 al 2015 ha piantumato come una pazza. La superficie boschiva è cresciuta di 17,5 milioni di ettari, per intendersi è come dire che in Europa nell’ultimo quarto di secolo è nato un bosco grande come tutto il Friuli Venezia Giulia ogni anno. Piogge acide (ve le ricordate?) permettendo.

Come la mettiamo allora con i 68mila morti in più dell’Italia che si registreranno nel 2015? E di cui i politici illuminati si fanno un gran cruccio. Per Grillo rischiano di essere legati proprio all’inquinamento. Anche l’Oms parla di record di «morti premature», causa smog. Partiamo da una piccola considerazione: quella dei morti è l’unica statistica che si riesce a fare con precisione prima della fine del periodo di osservazione. Ma prendiamoli pure per buoni. Nel 2015 ci potrebbero essere più morti (lo ricordava anche Silvio Garattini) grazie alla chimica. 

Ma non quella inquinante: quella buona. Grazie alla quale siamo tra le popolazioni più longeve del mondo. Si arriva ad un punto in cui però tocca morire: non più a 70 anni, ma in media per le donne in Italia a 84 anni. Questa media si è spostata in avanti e ciò corrisponde ad un effetto statistico semplice: bassa mortalità ieri, recupero oggi. Garattini addirittura ci ricorda come la folle campagna antivaccini (tra cui quelli influenzali soprattutto per i più anziani) stia determinando una piccola, ma pericolosa, epidemia nelle fasce di popolazione più a rischio. 

Riguardo all’Oms e ai suoi morti non bisogna aggiungere molto a quanto scritto da Umberto Veronesi: «Morti premature è un termine ambiguo su cui sono scettici molti scienziati. Tumori al polmone e malattie cardiovascolari riconducibili in qualche modo all’aria che respiriamo sono in diminuzione». Avanti con la prossima frottola ambientalista.

Ps. Per favore considerate la vostra responsabilità ambientale prima di non stampare questo articolo. Se potete, stampatelo su un bel foglio di carta A4, alimenterete così l’industria cartaia, di cui l’Italia era un’eccellenza, contribuirete a generare posti di lavoro e al taglio degli alberi in eccesso.