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ASIA


Cosa vogliono i consumatori cinesi


Per decenni, le aziende occidentali hanno cercato di capire i consumatori cinesi. E con le società di ricerche di mercato che ora seguono dettagliatamente ogni settore, dai beni di lusso ai prodotti per l'assistenza sanitaria alle ultime tendenze nel e-commerce, sta emergendo un'immagine più sofisticata del mercato.

Ma le aziende hanno ancora molto da imparare sul divario culturale che separa il consumatore medio cinese dalla sua controparte in Occidente, così come hanno molto da imparare sulle caratteristiche culturali distintive di qualsiasi altro mercato, dal Brasile alla Nigeria all'Indonesia. Tale conoscenza potrebbe non essere stata cruciale negli esaltanti giorni degli anni '90, quando l'economia cinese stava ancora emergendo e le opportunità sembravano infinite. Ma ora che il mercato è cresciuto e maturato, l'espansione in Cina richiede un apprezzamento più profondo dell'impatto che la tradizione culturale può avere sulla psicologia dei consumatori.

Nei primi tempi, non avevi quasi bisogno di una strategia: potevi guadagnare denaro finché avevi connessioni. Ma non è più così. Ora, quelle aziende che hanno una comprensione genuina della cultura del consumo cinese sono in una posizione migliore per avere successo di quanto potevano averlo le nostre industrie solo dieci anni fa.

Sottolineo che anche le società occidentali che hanno ottenuto un certo successo in Cina potrebbero non apprezzare appieno le differenze tra le psicologie dei consumatori occidentali e cinesi. Anche quando pensiamo di avere una mente aperta, non possiamo. Esistono differenze psicologiche tra società dell'Asia orientale e occidentali di cui le aziende dovrebbero essere consapevoli. Coloro che comprendono le sfumature della psicologia del consumatore cinese hanno maggiori possibilità di successo a lungo termine.

Quindi quali passi possono prendere le aziende occidentali per colmare il divario culturale?

Fare più ricerche qualitative

La ricerca qualitativa precede la ricerca quantitativa, entrambe sono essenziali per avere un quadro completo del mercato. La ricerca quantitativa richiede un modo strutturato di raccogliere informazioni, ma il modo in cui strutturate tali informazioni proviene dalla vostra ricerca qualitativa. 

Si consideri, ad esempio, un'azienda di snack-food che vuole offrire ai propri clienti una patatina più sana. La risposta ovvia per il mercato Europeo è rimuovere olio, sodio e altri ingredienti che possono causare problemi di salute a lungo termine. In Cina, tuttavia, i clienti potrebbero aspettarsi una soluzione diversa. Lì, non si tratta di eliminare ingredienti più o meno dannosi per la salute - si tratta di inserire altri ingredienti che rendano più appetibile il prodotto. Poiché la medicina tradizionale cinese ha un sistema diverso per classificare il cibo sano, tra cui un'importante distinzione tra piatti "freddi" e "rinfrescanti", una patatina al cetriolo può avere il maggior appeal per i consumatori attenti alla salute, poiché bilancia il "calore" del chip fritto o cotto al forno con un classico ingrediente "rinfrescante" come il cetriolo. Una buona ricerca qualitativa avrebbe portato l'azienda a riconoscere questa tradizione, per esempio chiedendo ai consumatori in un gruppo di discussione perché non mangiavano più patatine e poi chiedendosi quali tipi di alimenti potrebbero entrare nella scala di raffreddamento. 

In altre parole, i dati quantitativi non hanno senso, o almeno sono difficili da interpretare, a meno che non abbiate posto le domande giuste. E senza una solida comprensione delle dinamiche culturali fondamentali, è molto difficile porre le domande giuste. 

Creare sondaggi utili 

Una volta che un'azienda sa quali domande porre, deve considerare attentamente come chiedere loro. Per esempio, i ricercatori di mercato in Cina conducono ancora indagini, ma i ricercatori hanno imparato a adattare le scale per adattarsi a un contesto dell'Asia orientale. Un sondaggio progettato per un pubblico Europeo potrebbe chiedere ai consumatori di valutare un prodotto su una scala da uno a sette, ma questo risulta meno informativo in Cina o in Giappone. Nei paesi occidentali, le persone tendono a muoversi verso gli estremi, mentre nelle culture asiatiche le persone tendono a stare lontane dagli estremi - vedono gli estremi come indesiderabili.

Le persone vogliono essere educate; credono nella moderazione. Quindi, se dai loro una scala da uno a sette, otterrai un sacco di quattro, il che non è molto utile. "Procter & Gamble ha riscontrato questo problema mentre faceva ricerche di mercato in Giappone; la soluzione consisteva nell'utilizzare una scala a sei punti, che obbligava i consumatori a esprimere una visione più definitiva di un prodotto. 

Comprendere l'importanza della gerarchia 

Considera il paradosso tra risparmio e spesa: mentre i consumatori cinesi hanno tassi di risparmio relativamente alti, pagheranno anche premi elevati per alcuni articoli di lusso, specialmente quelli che sono usati in pubblico, come orologi o telefoni cellulari. È una società molto gerarchica, e un modo per distinguersi è attraverso il consumo.

Anche i consumatori cinesi tendono a investire pesantemente nei loro figli, il che spesso significa pagare per cose come tutor privati. In parte, questo ha a che fare con un importante cambiamento nella struttura familiare. La Cina era la prototipica cultura collettivistica e i genitori erano molto rispettati dai figli; ma questo sta cambiando ora a causa della politica di uno massimo due figli. I due figli sono diventati più importante nell'unità familiare, con genitori e nonni che cercano tutti di aiutare i propri figli a salire in una società estremamente competitiva. 

Capire che gli opposti possono coesistere 

Le culture dell'Asia orientale sono più a proprio agio con l'idea di coesistere tra due opposti. Ritorna alla differenza tra Aristotele e Confucio. Le società occidentali credono nella logica - dove qualcosa è "A" o non "A" - così affrontare le incoerenze logiche provoca un grande disagio. Gli asiatici orientali sono in grado di accettare che qualcosa potrebbe essere sia "A" che non "A" allo stesso tempo. Lo yin e lo yang sono il classico simbolo degli opposti che coesistono. 

Per vedere come questo maggiore comfort con contraddizione possa essere rilevante per le aziende, si prendono in considerazione le recensioni dei prodotti. I consumatori occidentali tendono ad essere più polarizzati. Quando leggono una recensione positiva e una recensione negativa, sceglieranno di credere all'una o all'altra, perché a loro piace avere una visione unica e coerente di un determinato prodotto. I consumatori cinesi, al contrario, adottano un approccio più sfumato, tenendo conto simultaneamente di revisioni positive e negative. 

Comprendere l'importanza delle relazioni 

Come società, la Cina attribuisce un valore eccezionale alle relazioni armoniose, cosa che i pubblicitari potrebbero voler sottolineare quando creano messaggi. 

Le società individualiste stimano gli obiettivi personali e le realizzazioni, e le società collettiviste danno valore agli obiettivi e alle realizzazioni del gruppo. I consumatori cinesi possono rispondere meglio agli annunci che pongono l'accento sulle famiglie o sulle relazioni, piuttosto che su quelli che puntano maggiormente sull'orgoglio personale e sull'autonomia. 

Preparati per i cambiamenti dei consumatori, ma non ignorare la tradizione 

Sono pronto a sottolineare che il comportamento dei consumatori cinesi non è un fenomeno statico. Il consumatore cinese probabilmente si sta evolvendo più velocemente rispetto ai consumatori di altri paesi. Quindi, in un certo senso, è una sfida significativa per le aziende tenere il passo. I consumatori con più reddito disponibile stanno diventando sempre più sofisticati, il panorama cambia frequentemente con l'ingresso nel mercato di nuovi attori e le aree urbane continuano a gonfiarsi. È un mercato molto dinamico, e è anche altamente adattivo, il che fa ben sperare per la stabilità a lungo termine anche quando il paese affronta una crisi del mercato azionario e un rallentamento economico. 

Ma questo dinamismo non significa che la tradizione cinese sia obsoleta. Il mercato continuerà a cambiare, ma ci sono elementi di comportamento dei consumatori che sono radicati nella psicologia di una cultura e riconoscere ciò può fare una grande differenza.

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Il nuovo corso del Vietnam

La riforma del Diritto Societario e della Normativa sugli Investimenti in Vietnam

Il Vietnam, con una crescita vicina al 6% nel 2014, si presenta come una delle economie più dinamiche del sud est asiatico. Il percorso di crescita, in atto da diversi anni, è stato supportato da una serie di riforme compiute negli ultimi 10 anni nel campo del diritto tese a ravvicinare il sistema vietnamita agli standard internazionali. 

A tal proposito si ricorda la riforma del diritto societario (Law on Enterprise e Law on Investment) del 2005 e la riforma in tema di disciplina dei contratti del 2007.

Il governo vietnamita ha fissato per il 2015 i seguenti obiettivi da raggiungere:

Crescita del Pil al 6,2 per cento;
Tasso di inflazione al 5 per cento;
Deficit di bilancio al 5 per cento.

Al fine di raggiungere tali obiettivi il governo ha deciso di implementare una serie di riforme per agevolare, in particolar modo, la crescita delle imprese private (in gran parte PMI). 

Nel campo del diritto il 26 Novembre 2014 l’Assemblea Nazionale del Vietnam ha approvato una legge che modifica le precedenti LOE (Law on Enterprise) e LOI (Law on Investments) del 2005 sopra richiamate, che entrerà in vigore dal 1° luglio 2015. In questo articolo, cercheremo di analizzare i principali cambiamenti intervenuti.


Legge sugli investimenti: attuale normativa


La Legge sugli investimenti vietnamita prevede diversi requisiti a seconda che si tratti di investimenti esteri o nazionali. La Legge del 2005 attualmente in vigore ha generato una notevole confusione riguardo alla percentuale di quote/azioni detenute da soci stranieri, affinché una società possa essere considerata soggetta:
alla disciplina ordinaria
piuttosto che alla disciplina per le società con partecipazione di capitale straniero (denominate fino ad ora FIE).

La differenza tra l’una e l’altra figura è rilevante in quanto, secondo la legge vigente, una FIE è soggetta a requisiti di autorizzazione più rigorosi e altre restrizioni che si applicano per gli investitori stranieri. In merito sono emerse in questi anni diverse interpretazioni da parte delle autorità locali vietnamite, non avendo la legge previsto delle regole precise.
Alcune hanno considerato una società come rientrante tra quelle a capitale straniero anche se la partecipazione straniera era minima (maggiore dell’1%)
mentre altre, interpretando estensivamente la norma, hanno affermato che, affinché una società sia soggetta alla disciplina per le società a capitale straniero la partecipazione del socio straniero deve essere una partecipazione di maggioranza.

L’incertezza generata dall’ambiguità della norma ha di fatto frenato, in alcuni settori, gli investitori esteri.

Legge degli investimenti: nuova normativa

La riforma che entrerà in vigore il prossimo luglio ha risolto il problema rimuovendo il concetto di FIE e introducendo il concetto di "organizzazione economica con capitali di investimento stranieri" (denominata FIEO). Secondo la nuova disciplina, i requisiti più severi previsti per le società a capitale straniero (sia per l’ottenimento delle licenze che altre tipologie di restrizioni) saranno applicabili ad una FIEO soltanto se:

a) il 51% o più del capitale sociale è detenuto da investitori stranieri;
b) il 51% o più del capitale sociale è detenuto da un'impresa ai sensi del paragrafo a); 
o
c) il 51% o più del capitale sociale è detenuto da un investitore straniero e da un’impresa (congiuntamente) aventi le caratteristiche di cui ai precedenti punti a) e b).

Al fine di consentire comunque ad un’impresa straniera (o investitore straniero) di poter controllare la società anche senza detenere il 51% del capitale sociale, la nuova normativa prevede la possibilità che vengano emesse azioni senza diritto di voto. In tal modo un partner nazionale potrebbe avere il 51% del capitale, ma con un peso specifico inferiore per quanto riguarda il potere decisionale, favorendo così l’incremento degli investimenti esteri, anche in settori prima ritenuti non strategici proprio a causa della mancanza del potere di amministrare liberamente la società.

Altro fattore che di fatto ha ostacolato gli investitori stranieri sino ad oggi è dato dal limite, previsto dalla legislazione vigente, che riguarda la quota massima di capitale consentito agli investitori stranieri, pari al 49%, nelle società quotate. Negli ultimi mesi le autorità vietnamite (compresa la State Securities Commission) hanno discusso la possibilità di aumentare tale quota dal 49% al 60%. Successivamente all’emanazione della nuova legge, nel corso del Vietnam Business Forum tenutosi il 2 Dicembre 2014, il governo vietnamita ha annunciato che tale provvedimento sarà emanato con un decreto che dovrebbe entrare in vigore a ottobre 2015. Il principio che il governo vietnamita vorrebbe seguire d’ora in avanti è la rimozione di ogni limite per quanto riguarda le quote, salvo casi particolari che verranno espressamente previsti dalla legge per settori di rilevante interesse nazionale.

Altra novità introdotta dalla nuova normativa riguarda la disciplina dei quorum deliberativi. Mentre la legge attuale prevede un quorum del 65% per le delibere ordinarie e del 75% per quelle speciali, la novella introduce un abbassamento dei quorum rispettivamente al 51% e al 65%. Da più parti è stato fatto notare che però tale previsione parrebbe riguardare soltanto le società per azioni e non le società a responsabilità limitata. Le autorità hanno chiarito, seppur non in via ufficiale, che per quanto riguarda le società a responsabilità limitata, l’autonomia statutaria riconosciuta alle società a responsabilità limitata consente comunque di abbassare i quorum minimi previsti dalla legge. Per quanto riguarda invece i quorum costitutivi la nuova legge ha ridotto il quorum necessario per l’assemblea degli azionisti che, mentre nella disciplina attuale prevede il 65% in prima convocazione ed il 51% in seconda convocazione, prevede invece un quorum del 51% e del 33% rispettivamente in prima e seconda convocazione. 

Rilascio delle licenze: attuale normativa

Altra importante modifica riguarda le procedure per il rilascio delle licenze. Secondo la legge attualmente vigente, per il rilascio delle licenze autorizzative sono previsti regimi differenti a seconda se l’impresa richiedente sia:
a capitale vietnamita
oppure a partecipazione straniera.

Mentre il procedimento per le imprese domestiche è relativamente semplice e con tempistiche brevi (qualche settimana), per le imprese a partecipazione straniera l’iter è molto più farraginoso e richiede diversi mesi (in alcuni casi sono stati necessari anche sei mesi). 

Rilascio delle licenze: nuova normativa

La nuova normativa prevede invece, per le imprese a partecipazione straniera, soltanto il rilascio di un Certificato di Registrazione per gli investimenti (denominato IRC), richiesto soltanto nei casi sopramenzionati a), b), c) dove la quota di partecipazione straniera è pari o superiore al 51%. 
La nuova legge ha, inoltre, semplificato anche l’iter, passando da tre fasi (registrazione della domanda, valutazione, e rilascio del certificato) a due fasi, eliminando la fase della valutazione che è quella che fino ad oggi è risultata più complessa e di lunga durata. L’intenzione del legislatore è quella di ridurre la durata di tale procedimento a soli 15 giorni, anche se bisogna attendere l’effettiva entrata in vigore della legge per vedere se le autorità locali saranno in grado di rispettare la tempistica prevista dalla legge. Bisogna tener conto che i soggetti delegati all’approvazione di tali licenze sono diversi (dall’Assemblea nazionale ai Comitati popolari provinciali a seconda delle dimensioni e della tipologia di investimento) e, conseguentemente, il rispetto delle tempistiche previste dalla nuova normativa sono da considerarsi indicativi.

Altre novità introdotto in tema di governance d’impresa

Per quanto riguarda invece la governance dell’impresa la nuova normartiva consente maggior flessibilità per quanto riguarda le gestione interna, consentendo ad esempio la possibilità di partecipare alle assemblee anche con modalità alternative come la videoconferenza, nonché di votare anche a distanza, per corrispondenza o attraverso modalità elettroniche (la norma parla di voto espresso attraverso le più moderne tecnologie digitali). Altra innovazione è data dalla possibilità, (dopo aver disciplinato con maggior dettaglio gli obblighi ed i doveri del rappresentante legale) per l’impresa di avere più rappresentanti legali (fino ad oggi non consentito).
Al fine di favorire una maggior trasparenza la nuova legge ha inoltre introdotto ulteriori obblighi di comunicazione e divulgazione, che dovrebbero rendere più agevole la realizzazione di una due diligence in caso di operazioni di M&A, così come altri obblighi di comunicazione al “registro delle imprese” in merito agli amministratori, manager, e relativi cambiamenti delle cariche , da effettuare entro 5 giorni dalla deliberazione. 

Un’altra novità riguarda le regole di corporate governance, volte ad accrescere la qualità della gestione delle imprese vietnamite in linea con gli standard internazionali. Tali misure mirano a:
migliorare la partecipazione degli azionisti e la supervisione delle attività della società,
dare ruoli e responsabilità chiaramente definiti nella gestione (è stata introdotta anche la possibilità di creare comitati di gestione/controllo) e garantire maggiori diritti agli azionisti di minoranza.

A titolo di esempio, la nuova legge consente l’esercizio, nelle società quotate, ad una minoranza di almeno l’1%, dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori .

È da segnalare infine che il governo vietnamita, in una recente nota, ha dichiarato che, prima dell’entrata in vigore della legge, provvederà all’emanazione di ulteriori decreti attuativi finalizzati a chiarire le modalità operative delle nuove norme.

Conclusioni

In conclusione la nuova legge che entrerà in vigore il prossimo luglio dovrebbe portare al superamento delle ambiguità generate dalle precedenti leggi del 2005 e semplificare il processo di investimentoda parte degli investitori esteri, favorendo così un aumento delle operazioni di M&A e creando i presupposti per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalle linee strategiche del Vietnam per i prossimi anni.

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Hot Dog!

Luckily I have not eaten dog in Hanoi. By a kind of basic disgust I avoid eating meat that I don't have the slightest idea of the origin, so I keep me well away from certain restaurants too cheap or those exhibiting live animals in cages just outside, means that sooner or later the hairy inhabitant of the cage ends up in the pot. The following article was suggested to me by a friend, is hilarious in some form for humans to read, not for dogs. I am against these practices that I consider barbaric. Indeed I am disgusted just thinking about it. 
If you like you read it, otherwise change the page, I'll understand. 
SB


Hey, you know what everyone does in Hanoi? Eats tons of dog. All the time. If you don't believe me, come here, get up early, and watch the salivating packs of humans gather at dawn to chase strays through the streets. Most of the time they don't even bother to kill the dog before they start tearing away at its flesh. If they do, it's because the kids aren't quite as adept at eating live prey as the adults are. And that's totally fine, these things take time—just like how, in this country, not all children are born with the ability to keep down jellied eels.

Dog eating in Vietnam isn't just a stereotype. It dates back thousands of years and seems to be a present from the Chinese. It’s mainly eaten in the North and is believed to bring good luck and male virility. Rather ominously, no one has been able to tell me precisely what breed is eaten since I moved here, which might explain the large number of “dognappings” that take place in Hanoi.

The streets are full of men sporting chipped teeth and NY Yankees caps, all urging you to try their restaurant’s tasty "thit chó." Others have portable stalls with the dead canines revolving on a spit. I've yet to work up the courage or become desensitized enough to take a trip down "Dog Street," which I imagine looks something like the Westminster Dog Show after a terrorist attack.

I know that eating dog is the norm here, much as it's the norm in the US to eat Big Macs. I love dogs and have been surrounded by them since I was a baby. But after a few weeks of speaking to locals, coworkers, and fellow Westerners, the barrier was starting to crumble. I wanted to feel like more than a tourist in Hanoi, and I saw no point in remaining a conscientious objector.

So, one Friday after a couple of Bia Hanois (beers), my American friend and I set off in search of canine cuisine. The search didn't take long. Within a couple of minutes, we were being led to the side of a central Hoan Kiem restaurant, where we found a live dog laid out on the table.

At least I thought it was still alive.

It was only as I neared the head that I realized something was amiss. As in missing. Half of its rib cage was missing. Out sprung an animated chef, dancing some kind of crazed knife dance with jazz hands. Evading this guy and working our way round to the head, I was amazed to see that all its teeth were present and it still looked lifelike—just with a slightly darker coat. I later discovered this is because there isn’t any preparation or oven basting. The dogs are just cooked whole with a blowtorch.


By now, the momentary machismo of ordering dog had been quickly supplanted by a strong feeling of dread. This wasn’t going to be a pleasant experience. As I eyed the mountain of cold, unappetizing dog carcass towering in front of me, my thoughts returned to poor Digby (my aunt's dog) and every other canine I’d stroked/cuddled in my life. Sorry, guys. I was about to betray all of you.

I reached hesitantly for my drink, but by now a dozen pairs of eyes were fixed on my trembling hand, willing it to grab the nearby chopsticks. Twenty-two years of Westernization was no match for this unbearable peer pressure I felt. It would be easy to draw this out, but ultimately what happened is that I succumbed, I shut my eyes and slipped a slimy piece of dog into my mouth.

The first thing that struck me was the sheer chewiness. Ten gabbers on MDMA couldn't work up the gum power between them to gnaw through a chunk of this stuff in less than two minutes. What had started as a harmless foray into local tradition had quickly become a living nightmare where I was choking on an Everlasting Gobstopper of guilt. Lassie, Sounder, my ex’s adorable puppy Boris, the Tatler dachshund, your boys took one hell of a beating.

While it was torture for my jaw, the taste wasn't nearly as bad—just unremarkable. The texture was awful though: semi hard wood glue peppered with pieces of reinforced concrete. The closest taste description I can muster is a disconcertingly vague hybrid of turkey and pork.

As if reading my mind, the waiter suggested adding some spice by mixing the meat with his “special sauce.” I was ready for any kind of flavor at this point. Then I found out his special sauce was fermented shrimp paste, which tasted like a medieval prostitute’s gusset. I immediately regretted my decision.

Having managed eight or nine chunks of the clammy canine flesh, I uncovered the cold sausages made of dog's blood below—“doggy black pudding” as our waiter excitedly exclaimed. One bite of this, and I was done. Absolutely, unequivocally, eternally fucking done.

I’d be lying through my teeth if I said I felt pride after trying dog, but what I felt wasn't exactly shame, either. Clearly it’s a taboo in the West, but it wasn't hard to remind myself how commonplace it is in Vietnam as soon as I walked out of the restaurant and was confronted with more delicious little doggies being pushed around on carts. 

The price, for anyone who’s interested, was only $10 for the two of us. They cost a lot more alive, which can probably be explained by the fact that they're a lot more fun climbing over your stomach than up through it and out of your mouth.

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Il nuovo Eldorado 

(prima e seconda parte)

Anche prima della crisi i principali Paesi europei perseguivano politiche economiche sostanzialmente di tipo consumistico piuttosto che favorire gli investimenti, la prova è sotto gli occhi di tutti, una crisi finanziaria che non conosce sosta e che ha minato nel profondo la resistenza di una consistente parte della popolazione europea. È evidente che il rallentamento delle economie dipende da questa attitudine suicida piuttosto che da rischiosi investimenti al di lá dell’oceano, che pure investimenti erano piuttosto che un atteggiamento conservativo della nostra finanza tesa a raccogliere piuttosto che a guardare al futuro con lungimiranza.
E adesso che non sappiamo più quale possa essere la giusta soluzione, ora che l’euro non esiste più come moneta circolante ma è diventata una mera entità elettronica, ecco che si delinea un quadro che è poco allettante almeno per i piccoli risparmiatori e cittadini alle prese giornalmente con una vecchia e fuori moda necessità: dar da mangiare alle proprie famiglie per sopravvivere o soccombere.
E questo nonostante le condizioni di eccezionale favore di cui abbiamo goduto negli anni passati, un ricordo sempre più sbiadito che qualcuno pensa già sia leggenda.
Chi si ricorda più di un prezzo del petrolio contenuto? Delle spese pazze di quasi tutti i governi nella corsa agli armamenti che adesso arruginiscono in lontani hangar aspettando una guerra che non c’è?
Singapore Sky Park
Fino a pochi mesi fa si assisteva a spese impensabili in nome di un consumismo sfrenato che non trovava giustificazione in nessuna macroeconomia o mercato in crescita, ogni governo fronteggiava e sopportava una spesa assistenziale e previdenziale superiore alla peggiore previsione di venti anni fa, ora tutto questo si si riflette su una fiscalità pesante e gravosa sui bassi redditi delle famiglie meno fortunate o poco lungimiranti, ma non si può e non si deve dar sempre le colpe alle famiglie degli errori compiuti dalle amministrazioni che prima spingono il cittadino a spendere e poi lo accusano di aver speso troppo. La coperta è corta, lo sappiamo, abbiamo provato a estenderla in tutti i modi, oltre non si può andare pena strappi difficilmente riparabili. La gente lo ha capito da tempo, sono aumentati in tutta Europa gli emigranti che fuggono dalle ristrettezze economiche e guardano a altri mercati cercando una soluzione realistica alle loro preoccupazioni, e non fuggono solo le famiglie piccole medie o grandi, fuggono gli imprenditori, quel tessuto creativo che ha sempre caratterizzato ogni strato sociale del nostro vivere, che non riesce più a sopravvivere alle tasse fuori controllo ai carichi amministrativi sempre più asfissianti, ai dazi nascosti e controlli senza fine che portano le imprese ad una perdita secca di competività complice anche un Euro tornato forte nei confronti del biglietto verde americano da sempre degno antagonista della nostra multicolore valuta.
In tale contesto tutti gli imprenditori ricercano nuovi mercati, che sappiano assorbire gli investimenti rendendo interessi e tassi interessanti ma anche come forma strategica non solo opportuna ma anche imprenscindibile per le nostre industrie.
Il nuovo Eldorado ormai non è più a Ovest ma a Est. Ha abbandonato le intricate foreste di un centramerica di Colombiana memoria per spostarsi da qualche parte nel centro di un triangolo d’oro nel sud est asiatico. 
Lo skyline di Saigon by night
Singapore, Hong Kong, Thailand, Malaysia negli anni scorsi a cui si sono aggiunte l’Indonesia, il Vietnam e poi le sempreverdi Philippines, il Laos, la Cambogia e magari più tardi, presumo in un paio d’anni, il Myanmar e forse la Korea del Nord se riesce a superare le barriere politiche e ideologiche che da sempre frenano lo sviluppo di una nazione geografica e culturale che dovrebbe essere riunificata da tempo così come avvenne per la Germania di qualche decennio addietro.
Fra tutti i più abili a cogliere al volo le opportunità di sviluppo dopo la caduta delle economie europee c’è il Vietnam che sta giocando sempre più un ruolo da protagonista nel frenetico mercato del sud est asiatico. Un Paese con forti tradizioni, con un contesto politico storicamente ancora legato a doppio filo al maoismo di Mao e Ho Chi Minh, alle sconfitte del grande ex nemico, ora amico, a stelle e strisce. Sconfitte e non vittorie come la propaganda usa ricordare per aumentare il valore del popolo impegnato in una guerra di liberazione dall’oppressore. Aiutati a quattro mani dal grande vicino giallo ora diventato uno scomodo partner che piazza le proprie tecnologie di seconda scelta a prezzi che poco possono confrontarsi con le realtà di mercato, troppo alti per la qualità dei manufatti, troppo bassi per generare un reale mercato che si basi sui soliti canoni: domanda e offerta. Un vicino che vorrebbe sempre alzare la voce e che il Vietnam non sa come allontanare, nonostante una larghissima parte dell’energia per le sue fabbriche provenga dalla Cina. La strategia vincente pare possa essere il mercato, lo stesso mercato di investimenti stranieri che è stato capace di creare il fenomeno cinese e che ora, complici leggi restrittive e protezionistiche, guarda al vicino povero per espandersi e spendere il meno possibile.
In tutta la regione si stanno comunque formando i distretti industriali che prima non esistevano, fotocopie di grandi fabbriche occidentali e capaci di sfornare gli stessi prodotti avvalendosi di costi della manodopera nettamente più contenuti di quelli medi europei, che fruiscono di forti incentivazioni fiscali e che si giovano della vicinanza di mercati in rapidissima crescita.
Questa crisi finanziaria globale è epocale, coinvolge tutto il pianeta, nessuno Stato può dirsi al sicuro, non infettato da questo morbo che opprime i mercati, da questa paura che noi, pedine nelle mani di chi maneggia con apparente trascuratezza e superficialità i nostri soldi, siamo stati capaci di diffondere e che difficilmente saremo capaci di debellare in tempi brevi.
La crisi finirà come si sono estinte tutte le epidemie, fossero biologiche o economiche, finirà lasciando sul campo le vittime, quelle nazioni che con il loro sconsiderato spendere non hanno saputo interpretare con la dovuta accuratezza gli orientamenti di un mercato sempre più vicino al baratro. E quando sarà finita un nuovo scenario dipingerà il pianeta, da una parte gli Stati reprobi, quelli che hanno saputo affrontare con giudizio la crisi fin dalla fase embrionale difendendo la propria economia con caparbietà e capacità e dall'altra tutti gli altri, e purtoppo sembrerebbe anche l'Italia, che non sono stati capaci di anticipare la crisi ma, anzi, hanno continuato a spendere i nostri soldi sconsideratamente senza pensare minimamente alla vecchiaia, nostra e del Paese. Il processo è in corso... 
Street Art in Vietnam
Ci siamo lasciati considerando, forse con amarezza, quando questa crisi epocale finirà, arrivando alla conclusione che questo periodo di incertezza avrà fine. Nell’attesa vediamo come continuare a vivere, investire e far fruttare i nostri denari, dopotutto il mondo non si ferma, continua nel proprio cammino verso il terzo millennio.
In una logica perversa dove chi vince è sempre dalla parte della ragione e chi, invece perde, in quella del torto, potremmo considerare che modificare i nostri obbiettivi di investitori sia, per noi, un tradimento di quelli che hanno rappresentato per secoli i dogmi principali dello sviluppo dell’occidente, vale a dire trasferire le risorse dai paesi cosiddetti del terzo mondo, in occidente per farlo crescere anche a discapito dei fornitori inconsapevoli di queste risorse. E non parliamo solo dell’Asia, in questo discorso potremmo tranquillamente aggiungerci molti Paesi africani o del sud America. Purtroppo però, sudamericani e africani, non sono stati capaci di emergere dalle ceneri della colonizzazione dopo che, uno alla volta sono riusciti a liberarsi dalle pastoie dei paesi conquistatori, quelli africani in particolare.
In Indonesia il settore immobiliare in continua crescita

Ecco dunque che siamo costretti a parlare degli unici veri nuovi attori di questo nuovo anfiteatro finanziario economico mondiale, gli unici che secondo il mio modesto avviso, saranno capaci di trainare fuori dalla crisi il resto del mondo e veleggiare col vento in poppa verso il terzo millennio,
Non si parla troppo delle nazioni asiatiche, la ragione forse è insita nella consapevolezza che si stanno sviluppando a scapito nostro. Non sono solo queste le ragioni, una delle ragioni maggiormente giustificabili è dovuta alla scarsità di indagini più o meno sistemiche sull’insieme della consistenza geo-politica  degli Stati del Sud Est Asiatico, quella stessa Asia sud-orientale per secoli bacino di prodotti utilizzati dalla maggior parte delle nostre industrie cosmetiche, alimentari, e abbigliamento. Una ragione più realistica secondo un punto di vista condiviso da diversi analisti è che la definizione dell’area non viene identificata attraverso un contorno preciso di un Paese o di un insieme di paesi che formano un’isola, penisola o pianura ma fluttua su un territorio con differenti accezzioni incluse quelle geografiche, politiche, economiche, che rendono complessa l’identificazione del territorio anche e perché le differenze sono notevoli se si considera per esempio la molteplicità delle varie forme di Stato (Monarchie, Sultanati, repubbliche popolari, parlamentari, presidenziali e aggiungiamo socialiste) a cui aggiungere le realtà politiche, etniche, sociali, amminostrative, dittatoriali e non dimentichiamoci le lingue parlate e quelle scritte, vero incubo degli occidentali e aggiungerei anche religiose e non religiose, culturali, storiche. Se pensiamo poi che le variabili europee sono noiente al confronto con quelle el Sud Est Asiatico ecco che possiamo comprendere come sia difficile identificare la regione come un unico interlocutore capace di interagire con investitori decisi.
Malaysia, l’A380 per andare lontano

C’è però un aspetto e nemmeno tanto insignificante, quello sviluppo economico al quale ci siamo abituati facilmente in questi anni che continua nonostante la crisi finanziaria globale abbia rallentato anche quelle economia. Negli anni passati abbiamo assistito ai forti e continui incrementi degli indici e del PIL di molte nazioni, aumenti di produttività ma anche di redditività che hanno modificato i processi di integrazione delle politiche commerciali attraverso anche l’integrazione di queste con un benessere a lungo cercato. E non dimentichiamoci che presto entrerà a far parte di quella associazione globalizzata che risponde al nome di WTO anche il Laos, ultima delle tigri asiatiche, dopo la Cambogia nel 2004 e il Vietnam nel 2007. E il quadro è completo per il raggiungimento di quella armonizzazione delle politiche commerciali che portano benessere, e elevata sicurezza ddegli investimenti in particolare da parte di investitori esteri, quegli stessi investitori che in tempi di vacche magre spostano ingenti capitali dove ci sono possibilità di vederlo crescere. È tutto collegato, la crisi siamo noi che l’abbiamo creata e siamo ancora una volta noi che l’alimentiamo con le nostre paure. Valga per tutti l’esempio del Vietnam di cui sono un profondo conoscitore, un esempio di illusorietà che pure convince e attrae investitori, l’unico dei Paesi emergenti che si sia dotato di un codice civile adeguato agli scopi e dettami dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (è sempre la WTO), l’unico che negli ultimi cinque anni sia stato capace di abbattere, pur con qualche patema, quello scudo erto a protezione della propria economia non di mercato per gettarsi, è il caso di dirlo, anima e corpo, nella legalità spinta per rassicurare attraverso una regolamentazione  aggressiva i potenziali investitori. E ancora l’unico che non riesce a scrollarsi dalle spalle la precarietà di un passato giuridico che spaventa anche il piu’ incallito degli investitori. Riusciranno a levarsi di dosso i fantasmi di quel socialismo meno efficiente per indossare e seppur a fin di bene, quelli del capitalismo, lo stesso che il grande e temuto vicino cinese ha saputo indossare con eleganza e caparbietà per togliere lo scettro del piu’ forte agli USA? Credo che l’argomento trattato in questa serie di articoli sia la chiave per scoprire che ci sono le basi per spostare convenientemente l’asse degli affari da occidente a oriente e non rischiare di restare con niente in mano. Il rischio fa parte del gioco, e verrebbe da dire ‘quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare’.

Cambogia, i templi di Angkor

Nel corso dei prossimi articoli illustrerò le opportunità da cogliere al volo di quattro delle nazioni che hanno saputo, più di altre, sviluppare la propria economia di mercato e trarne effettivo giovamento, che hanno saputo giocare con accortezza la carta di un capitalismo di stampo asiatico, fermo nei principi socialisti ma attento alle dinamiche di un mondo che si evolve in fretta per crescere e fornire alle popolazioni nuovi spunti per gli anni a venire. Si tratta del Vietnam, della Cambogia, dell’Indonesia e della Malaysia. In seguito affronteremo anche le economie delle nuove promesse, quelle che ora stanno compiendo i primi passi per uscire da anni di immobilismo economico, in parte provocato da regimi dittatoriali ottusi, attenti solo al proprio guadagno e accorti nel non far crescere la propria economia non afferrando il messaggio lanciato dalle nazioni confinanti ‘Cresciamo tutti insieme per migliorare tutti’. Parlo ovviamente del già promettente Laos, prossimo candidato alla WTO e del Myanmar ex Burma o Birmania come lo conosciamo noi. Infine affronteremo le economie che nonostante tutto sono ancora in una fase di stallo, crescono ma non ai ritmi delle altre vicine, anche a causa di forti contrasti interni che ne riducono le potenzialità, parlo della Thailandia, delle Philippines e di Taiwan.  
Alla prossima dunque. 

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Come creare il proprio business in Vietnam

(Scritto da Sergio Balacco, Hoi An, Vietnam, 2012©)
Questo articolo è stato pubblicato su "Voglio Vivere Così" il 22 Agosto 2012

Giorni fa, parlando con amici davanti ad un birra ghiacciata, riflettevo sull’esigenza di riciclarsi quando si raggiungono determinate mete nel corso della propria vita. L’idea non è affatto peregrina ma, se ben attivata, serve a mantenere sveglia la mente allontanando la prospettiva, nonchè pericolo, di precipitare in tarda età nella cosidetta demenza senile meglio conosciuta come morbo di Alzhemeir.

Gli italiani si sa, sono anglofili per natura, tutto ciò che suona di immaginaria origine inglese, diventa di punto in bianco interessante a discapito del termine più conosciuto e meno apprezzato nell’italico idioma. Che sia dunque Alzheimer? Va bene, ci siamo capiti. Divagavo con gli amici perchè difficilmente l’italiano si ricicla.

Ecco qualcuno c’è perchè costretto dagli eventi: da un datore di lavoro che decide di cambiare attività, da un’azienda che fallisce, da un mercato che continua a mostrare diverse immagini come in un caleidoscopio, questi sono casi della vita non esigenze e scelte personali.
Fare business in Vietnam
Quasi nessuno lo fa per scelta, pochissimi per bisogno. 
Se l’italiano nasce ingegnere ecco che sarà ingegnere dal primo istante di lavoro all’ultimo prima di appendere il calcolatore al classico chiodo, sostegno di tutto il suo sapere lavorativo e professionale e da quel momento in avanti custode dei suoi segreti. 

VIETNAM
Io sostenevo che uno si pone degli obiettivi nella vita e quando li ha raggiunti è utile, oltre che doveroso, gettarsi in altre sfide per avere nuovi stimoli e lavorare sempre con impegno e dedizione. Gli amici invece, in questo coesi come non mai e forse coerenti ad un disegno che ha poco di divino e che difficilmente può essere appoggiato da chi ha solo un pò di sale in zucca, erano di diversa opinione. Innanzitutto la coerenza. In passato sono stato un fautore della coerenza ad ogni costo.

James Russel Lowell, poeta e saggista statunitense vissuto due secoli fa (come passa il tempo) diceva a proposito della coerenza: “Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione.” Che letto dal mio punto di vista dà ragione all’esigenza di riciclarsi una volta raggiunto l’obiettivo prefissato.

Perchè questa lunga prefazione?

Perchè intendo parlare del Vietnam come meta dei futuri imprenditori a caccia di grasse opportunità per crescere, fare esperienza e sul medio lungo periodo, anche rimpinguare la cassa in questo periodo di vacche magre, sempre desolatamente vuota.
L’argomento di cui vorrei dissertare oggi è infatti “Come creare il proprio business in Vietnam” e vivere in pace con il mondo, se stessi e il conto in banca.

Ho accennato alla possibilità di riciclarsi. Va bene, non parlavo di me, ho già ampiamente riciclato la mia attività almeno un paio di volte. Da ingegnere a imprenditore, da imprenditore a ingegnere e probabilmente in un prossimo futuro da ingegnere a scrittore, sempre che a qualcuno possa piacere la vena pungente dei miei scritti permeati dalla consapevolezza che niente è facile nella vita, nel lavoro, nello svago e neppure nell’apprendimento della cultura. Però non siamo qui per parlare di me bensì del Vietnam e dell’apparente facilità di diventare imprenditori in questa “tigre asiatica”.

Innanzitutto una precisazione: nel 1990 il Vietnam è diventato membro dell'ASEAN, l'Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale. Nel 1995 sono state ristabilite le relazioni diplomatiche con gli USA, e già nel 2000 ricevette la visita del Presidente Bill Clinton. Nel 2006 il Vietnam è diventato membro della Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Essere un membro del World Trade Organization (Commercio Globale) prevede siano rispettati alcuni obblighi incluso il diritto di fare impresa da parte di quasiasi cittadino di qualsiasi altro paese aderente che, tradotto in termini comprensibili ai piu', significa che chiunque può diventare imprenditore anche senza essere un cittadino vietnamita, anche senza essere residente in Vietnam, anche senza avere come socio un Vietnamita. Il concetto è la base di tutto questo articolo chiunque ha la possibilità di crearsi un proprio business a prescindere dal Paese di nascita purchè si attenga alle regole.

Eh gia’, le regole.....

In Vietnam la burocrazia raggiunge i più alti livelli, nemmeno la faziosità tutta italiana delle nostre istituzioni è in grado di raggiungere i livelli qui osservati. In Vietnam senza burocrazia probabilmente non ci sarebbe lo Stato, o forse sì ma con molti meno problemi e lavoratori e alla fine meglio uno Stato con burocrazia asfissiante che alimenta i propri abitanti piuttosto di uno liberale che tutto premia, ma solo all’apparenza e alla fine si arrichiscono solo i ricchi ed i poveri diventano sempre più poveri. Mi ricorda molto l’Italia questo pensiero.
Questo deve aver pensato quel mattacchione che ha inventato il contorto sistema per cui se paghi con una carta di credito dopo aver digitato il tuo PIN tu debba firmare la stessa ricevuta che resterà nella cassa del negoziante, come non si capisce per quale motivo tu puoi facilmente aprire un conto corrente in una qualsiasi delle banche vietnamite mentre quando decidi di chiuderlo tutto diventa più difficile, così tanto da farti desistere, svuoti per quanto ti è possibile il conto, lasci su almeno l’equivalente di dieci dollari USA e te ne vai dopo aver speso la differenza sul mercato locale piuttosto che perdere la testa nel tentativo vano di comprendere i motivi delle difficoltà.
VIETNAM
Le regole in Vietnam sono valide per tutti, la solita manina potrebbe aggiungere “eccetto che per i Vietnamiti”. Non vi illudete, il vostro contratto scritto in inglese ed in vietnamita, registrato al tribunale, mostrato alla banca, utilizzato per tutte le garanzie del caso al proprietario dell’immobile dove vi installate, sarà considerato carta straccia esattamente un secondo dopo che qualcuno avrà fatto pervenire un’offerta migliore della vostra, ed è inutile che vi arrabbiate, così sembra giri tutto qui eppure... Eppure sono molti gli italiani che, a dispetto di tutte le difficoltà si avvicinano sempre più spesso a questo paese e iniziano a intraprendere con successo una loro attività.

Perchè il Vietnam?

Il Vietnam offre manodopera (anche di qualità) a costi nettamente inferiori a equivalenti localizzazioni in Cina e parchi industriali ben organizzati. La legislazione prevede un salario minimo attorno ai 90 dollari al mese (73€). In realtà, il costo nelle aree più sviluppate (Ho Chi Minh City e Hanoi) va da un minimo di 70 dollari (56€) per mansioni poco qualificate a 350 dollari (284€) per operai/e specializzati a 500/1000 dollari (406/812€) per tecnici ben preparati (laurea breve) o capireparto esperti. Per i top manager i costi possono salire attorno ai 3.000/3.500 dollari (2437/2843€) mese. In sei mesi, in Vietnam, è possibile costruire una fabbrica e avviare un’attività produttiva. La soluzione più diffusa è l’insediamento in uno dei 200 Parchi industriali che spesso offrono oltre ai servizi base (allacciamenti idrici, elettrici, parcheggi, movimentazione carichi) anche supporto amministrativo in fase di avvio dell’investimento (iter burocratici, permessi, reperimento manodopera, corsi di formazione). Ma soprattutto esistono numerose agevolazioni fiscali per attività qualificate e localizzate in aree classificate come di sviluppo che danno diritto a esenzioni fiscali parziali o totali per periodi che vanno da 5 a 10 anni. Tra il 2001 e il 2011 sono confluiti in Vietnam investimenti diretti di multinazionali statunitensi, europee, coreane, giapponesi e cinesi per oltre 150 miliardi di dollari, e nel 2012 le esportazioni dei principali distretti industriali vietnamiti sono cresciute in media del 30 per cento e l’anno non è ancora finito! Esistono diverse possibilità di insediamento: uffici di rappresentanza, società commerciali, attività produttive a pieno controllo italiano o in joint venture con partner locali e anche se quest’ultima forma non è obbligatoria al momento risulta essere quella più praticata.

Le tasse si pagano come in Cina: 25% sugli utili annui. Grazie ai trattati contro la doppia imposizione, i pagamenti sono detraibili in Italia e gli utili possono essere liberamente rimpatriati. Bisogna poi notare che il Vietnam è particolarmente conveniente per l’approvvigionamento di prodotti, lavorazioni e componenti a basso costo nel settore dell’abbigliamento, calzature, mobili e arredamento, elettronico e meccanico. Con 88 milioni di abitanti, il Vietnam rappresenta un mercato interessante per i beni di consumo grazie ai redditi crescenti e all’inclinazione verso i prodotti stranieri di una classe media emergente composta soprattutto da giovani. Nonostante la crisi finanziaria globale, il governo di Hanoi è intenzionato nei prossimi 5 anni a investire almeno 15 miliardi di dollari all’anno per costruire una rete autostradale e ferroviaria e sta modernizzando il sistema aeroportuale, pur con qualche difficoltà. Ha inoltre avviato la costruzione di centrali elettriche per diverse migliaia di MW.

Interessanti opportunità anche per i fornitori di tecnologia e know how. Nel 2011, nonostante la crisi mondiale, le importazioni vietnamite di macchinari industriali hanno superato i 15 miliardi di dollari con un incremento percentuale del +12% rispetto all’anno precedente, nel 2012 il trend si conferma positivo, quindi aperto all’imprenditoria italiana, sia per grandi imprese ma anche per le piccole o medie imprese anche artigianali, inclusa l’imprenditoria individuale, come potrebbe essere considerato chi apre un ristorante, una paninoteca, una gelateria, pizzeria ecc.

Vietnam Business
Più di 2 mila chilometri di coste in gran pare intatte e città millenarie come Hoi An fanno del Vietnam una meta di grande attrazione turistica (26 milioni di visitatori da tutto il mondo nel 2011 di cui ben 9 milioni solo a Hoi An e Da Nang). Nel settore sono in atto investimenti per centinaia di milioni di dollari che offrono importanti opportunità ai fornitori italiani di attrezzature alberghiere e arredamento su base contract.

Secondo l’ICE in Vietnam, la maggioranza delle aziende italiane presenti sul territorio si è trasferita o ha aperto una filiale per motivi economici. La manodopera infatti è uno dei motivi più interessanti, in soldoni significa che un operaio vietnamita riceve uno stipendio lordo pari ad un ventesimo del suo omologo italiano. Evidente che così a basso costo non si tramuta in alta efficienza. Per fare un italiano, per esempio, servono anche due vietnamiti se non sono stati precedentemente istruiti, altrimenti è vantaggioso provvedere all’istruzione e training delle maestranze. Alla fine la spesa vale. In Vietnam per esempio è stato insediato il più grande stabilimento del mondo di telefonia mobile, il SEV che sta per Samsung Enterprise Vietnam. Anche Apple e Microsoft hanno stabilimenti qui e moltissime grandi aziende americane ed europee, prima fra tutti la Ford americana e la Honda. Vorrei far altresì presente che può anche capitare che dalla sera alla mattina potreste anche ritrovarvi senza un dipendente che nel migliore dei casi vi abbandona non appena ricevuto lo stipendio informandovi con una telefonata, e nel peggiore sparisce non appena intascato il salario senza nemmeno farvelo sapere. Comunque non preoccupatevi troppo, è più comune per esercizi commerciali che nelle vere e proprie imprese dove il dipendente ha più incentivi a restare più a lungo, anche decine di anni.

Avete un’idea favolosa e desiderate iniziare la vostra attività senza necessariamente dissanguare le casse? Il Vietnam fa per voi, vediamo dunque in dettaglio come si crea il business in Vietnam.

Innanzitutto il nome, per operare in Vietnam, sia vogliate aprire il vostro ristorante etnico che la sede di una prestigiosa fabbrica di penne a sfera, è obbligatorio creare una società di diritto vietnamita. E questo anche se la vostra società non è altro che una branch della casa madre in occidente. Questa è la prassi.

La determinazione del nome commerciale è importante. A volte nomi azzeccati che richiamano determinate culture o eventi o situazioni o semplicemente evocano emozioni sono alla base del successo di un’impresa. Non sottovalutate questo aspetto, farà sicuramente la differenza in questo paese dove modernità e tradizione convivono sotto lo stesso tetto apparentemente in perfetta armonia.


Vietnam BusinessNota: In Vietnam la valuta viene chiamata Dong, il simbolo è una đ minuscola con un trattino orizzontale. Il simbolo internazionale VND significa Vietnam Dong ma non lo troverete mai su nessuna merce. Sui documenti ufficiali invece, specialmente se verso aziende o individui stranieri viene a volte utilizzato. Con u1US$ si ottengono circa 20,850đ, con 1€ circa 25,628đ al 31 Luglio 2012.



1- La ragione sociale.

In parole povere il nome della vostra azienda. Una volta identificato è obbligatorio farlo controllare ed ottenere un certificato di registrazione dell’impresa, nonché un certificato di registrazione fiscale presso l'ufficio locale di registrazione delle imprese presso il Dipartimento di Pianificazione e degli Investimenti. Ogni impresa deve essere facilmente identificabile e non deve avere la denominazione uguale ad una impresa già esistente. Il richiedente deve presentare documenti previsti dall'articolo 15 del decreto 88 e anche una dichiarazione di informazioni fiscali in formato prescritto stabilito dalla circolare congiunta e in questo caso, l'ufficio di registrazione delle imprese del Dipartimento di Pianificazione e Investimenti emetterà un certificato di Impresa e Registrazione fiscale per l’impresa. I moduli possono essere scaricati direttamente dal sito dell’ufficio registrazione e la domanda può essere presentata on-line. Una volta effettuata la richiesta l'Ufficio Registro delle Imprese verificherà l'applicazione online da un punto di vista della completezza e la correttezza e la risposta arriverà via e-mail entro 5 giorni dalla data della domanda. Se l'applicazione deve essere rivista, l'Ufficio Registro delle Imprese risponderà in un giorno dopo la revisione dell' applicazione. Il dichiarante deve presentare la domanda originale e relativi documenti entro 10 giorni dalla presentazione della corretta applicazione on-line e riceverà la licenza lo stesso giorno.

Costi e tempi: ammonta a 200,000đ (circa 10$/7€) la tassa ufficiale a cui aggiungere 1,000,000đ (circa 48$/38€) la tassa per la licenza professionale. In 14 giorni avrete il documento recapitato al vostro indirizzo.

2- Il sigillo aziendale


È prassi realizzare un sigillo recante i dati della nuova impresa. Attenzione, anche se questo può sembrare irrilevante in Italia non lo è affatto in Vietnam. Ogni azienda “firma” le proprie ricevute e fatture ma anche lettere e comunicazioni sia verso privati che verso la pubblica amministrazione, in particolare verso quest’ultima, con questo sigillo che deve essere vidimato presso il Dipartimento di Polizia. Senza di esso nessun ufficio pubblico accetterà mai il vostro esposto, comunicazione, informativa o richiesta di documentazione.


Costi e tempi: sono standardizzati, il costo di un sigillo in bronzo raramente può superare i 500,000đ (24$19€). In non oltre una settimana avrete il vostro sigillo. 


3- L’annuncio

È necessario annunciare attraverso un’inserzione sui quotidiani locali la formazione della nuova impresa, in genere su quelli di Hanoi o HCMC (la vecchia Saigon). Se pensate di operare solo in una determinata area, per esempio se la vostra impresa riguarda un esercizio commerciale localizzato (ristorante, pizzeria, caffe, pasticceria ecc) potrete limitarvi alla pubblicazione su un quotidiano maggiormente letto nella regione/provincia dove pensate di installarvi. Tenete comunque presente che il bando di informazione è richiesto dalla legge e deve includere il nome del business, l'indirizzo, il tipo di attività e dove l'attività è stata registrata tra le altre cose. Questa potrebbe essere anche una forma di pubblicita' per far conoscere alla comunità la vostra impresa, non sottovalutatene l’efficacia. 

Il costo sarà di circa 700.000đ (circa 33$/27€). 

4- Il Codice Fiscale



A questo punto è necessario richiedere il codice fiscale presso il Dipartimento delle Imposte della regione dove si installa la vostra impresa. Questo entro 10 giorni dal ricevimento del certificato di registrazione dell'impresa. Il modulo per la richiesta del codice fiscale è disponibile online e dopo aver inviato il modulo compilato per posta convenzionale, ci vorranno circa cinque giorni. Il costo è di 1.000.000d (circa 48$/38€). 

5- Registrazione Ufficio IVA



Dopo aver ottenuto il codice fiscale è necessario registrarsi presso il Dipartimento Tassa sul Valore Aggiunto (ne più ne meno della nostra IVA). Per ottenere l’autorizzazione alla fatturazione IVA, il creatore d'impresa deve altresì presentare una serie di documenti al Dipartimento delle Imposte Comunale (della città dove installa la propria impresa). Essi comprendono le deleghe per l’eventuale direttore (non necessaria se impresa individuale) per l’emissione di fatture, la domanda per l'acquisto di fatture prestampate attraverso un modulo standard, certificati di registrazione dell’Impresa, certificato di registrazione fiscale. Quando avete iniziato a pensare di essere arrivati alla fine, sedetevi, chiudete gli occhi e ripetete almeno cinquanta volte pazienza, pazienza, pazienza, pazienza... L’imprenditore italiano è abituato a questo, non sicuramente quello straniero. L’americano ha la tentazione di fuggire, l’inglese si guarda attorno smarrito ed il francese realizza che forse è tutta colpa dei suoi antenati. Tutti alzano gli occhi al cielo e sospirano. Animo, siete quasi alla fine.
Una risposta dal Dipartimento delle Imposte vi arriverà entro 5 giorni, tempi brevi ma non esaltatevi. So di imprese che hanno atteso anche due mesi, va tutto a fortuna ed alla solerzia dell’impiegato che riceve la vostra pratica. Anche se apparentemente la vostra petizione viene trattata con supporti elettronici, la compilazione dei vari certificati e documenti è quasi esclusivamente manuale. I tempi sono quelli necessari. Durante questo periodo di 5 giorni, un ufficiale addetto alle Visite Fiscali si recherà presso la sede della vostra impresa per certificarne l’esistenza e rilasciare alla società una certificazione che attesti la sede aziendale ufficialmente.

Per registrarsi per l'auto-stampa di fatture, il creatore d'impresa deve presentare una domanda su un modulo standard, insieme ad una lunga serie di documenti e pezze giustificative che vi risparmio dal trascrivere. L’ICE di Hanoi è in grado di fornire adeguato supporto in questo senso ed anche risparmiarvi grandi mal di testa e arrabbiature. 

6- Registrazione dei dipendenti



Entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il datore di lavoro deve registrare tutti i dipendenti menzionando la loro qualifica presso l’Ufficio del Lavoro. Per rapporti di lavoro inferiori ai tre mesi non è però richiesto. Le relazioni fra il datore di lavoro e i dipendenti, sono regolate dal Codice del Lavoro e registrate nel contratto di lavoro individuale.

Vietnam Business

Stiamo ovviamente parlando di aziende con diverse decine di dipendenti. Per le aziende minori e imprese familiari gli obblighi sono inferiori ed in alcuni casi inesistenti. È sempre bene prima di agire consigliarsi con un legale/fiscalista in grado di consigliare nel modo migliore le azioni più appropriate ad evitare future sanzioni degli uffici competenti.

7- Il sindacato


Come detto precedentemente la piccola impresa, prevalentemente l’esercizio commerciale, ha minori obblighi nei confronti del proprio personale, la regola dice che la registrazione al sindacato va effettuata entro 6 mesi dall’inizio dell’attività ma in pratica anche se ne trascorrono di più un reale controllo non esiste. La registrazione è gratuita e sarà completata in una settimana.

Per finire consiglio di contattare la Camera di Commercio Italiana (ICE) in Vietnam, esiste una sede ad Hanoi ed un ufficio a Saigon per consigli e aiuto prima di iniziare il vostro business. Tenete a mente che la struttura aziendale che scegliete incide sui requisiti patrimoniali di diritto vietnamita, ricordatevi quindi che:

Una singola impresa con una sola persona richiede un capitale sociale di 300 milioni di dong (circa $14,000/11,700€). Una società a responsabilità limitata, che richiede un minimo di due partner, deve avere almeno 600 milioni di dong in capitale ($28,000/23,000€). Infine, una Joint Stock Company (società per azioni), che ha bisogno di un minimo di sette partner, deve avere 500 milioni di dong ($24,000/20,000€) di capitale sociale. 

Stiamo parlando di numeri alla portata di molti. 

È probabile che sia necessario un avvocato esperto in modo da ottenere in modo corretto tutte le informazioni che qui sono indicate in modo molto generico. Infatti ogni tipologia di impresa ha diverse esigenze e obblighi. L'avvocato potrà aiutarvi a compilare la maggior parte dei moduli necessari spesso scritti solo in vietnamita per avviare il vostro business. Un avvocato esperto vi saprà anche indicare a quali agenzie locali registrare la vostra azienda. 

Queste le regole scritte. Poi ci sono quelle non scritte. 

Un’impresa che non necessita di spazi in luoghi ad alta frequentazione turistica non ha particolari problemi per installarsi. In genere si sceglie un' area che ricada in uno dei parchi industriali, ne ho parlato nella prima parte di questo articolo, in altre situazioni essere presenti in aree dove il transito turistico è elevato può essere importante per attirare il maggior numero di clienti e turisti. 

Gli inglesi al proposito indicano la regola delle tre elle come l’unica vera soluzione per poter aver successo con un esercizio commerciale: location, location, location. 

Avete già capito. Dove installate il vostro ristorante, bar, pizzeria, paninoteca sarà sicuramente la chiave del vostro successo a prescindere dall’aspetto che esso abbia, dal personale che lo frequenta, dalla bontà dei vostri prodotti. Un turista è sempre di passaggio. In alcune località del Vietnam non c’è molto da vedere: quando avete speso una settimana del vostro tempo, massimo due in una località fra quelle più in voga, e sicuramente Hoi An lo è, non ci tornerete mai più a meno che non abbiate sonanti e solide ragioni per farlo. Io abito a Hoi An da circa un anno. Ho visitato in lungo ed in largo tutta la città, sono stato in tutti i quartieri, in tutti i negozi, ho visto gli alberghi e le spiagge, le pagode ed i templi, le aziende che lavorano la seta o la ceramica. In un anno mi sono persino annoiato di vivere lì, non c’è altro da vedere e in questo posso tranquillamente includere la vicina Da Nang, Tam Ky, ed anche Hue che dista tre ore di auto, le Cham Islands, i templi nelle caverne della montagna di marmo, la statua del giovane Buddha con i suoi templi, il sud del Quang Nam fino quasi a Nha Trang. 

Il turista visiterà ed apprezzerà il vostro ristorante. Forse ritornerà nel corso di quella settimana un’altra volta. Poi non lo rivedrete mai più. È quindi importante trovarsi nel posto giusto al momento giusto affinché possiate stuzzicare la sua curiosità (oltre che la fame se si tratta di un ristorante) e spingerlo ad entrare e spendere da voi. 

Gli affitti dei locali vanno secondo fasce di vicinanza ad un determinato punto di attrazione cittadino. Più vicini sarete e maggiori probabilità di successo avrete, non devo inventare nulla in questo, tutto il mondo è paese. E la differenza non la fa nemmeno la piccola “mafia” locale nelle vesti del solito parente prossimo del capo villaggio, sindaco o delegato di partito che impera localmente. Siamo così abituati a queste cose in Italia che vederle ripetere in Asia non ci tange più di tanto. 

La vera differenza la fanno le richieste dei proprietari dei locali ove voi avete deciso di installarvi. 
L’affitto è alto, mai come in Europa ma alto per il Vietnam. 

A Hoi An un locale prospiciente il canale costa mediamente dai 600 ai 1200 dollari USA al mese per aree attorno ai 100m2 . Qui è inutile parlare di dong, i proprietari vogliono vedere i biglietti verdi, altre valute non le accettano e non sicuramente lo svalutatissimo dong che cambia continuamente nei confronti del dollaro americano. Il problema vero è che quei, diciamo per facilità di conteggio, mille dollari al mese li vogliono tutti anticipati per il periodo del vostro contratto ed in qualche caso pretendono anche un deposito pari ad un anno di affitto che vi rendono a fine contratto. Considerando che in genere i contratti sono da cinque anni, la spesa che dovete mettere in conto sarà di 1,000x12x5=60,000US$ più altri 12,000US$ più le spese che saranno necessarie per adeguare il locale alle vostre esigenze commerciali, tenendo presente che il contratto successivo, se siete fortunati e ve lo rinnovano, il vostro locale sarà rivalutato anche in funzione dei lavori che voi stessi avete effettuato e pagato e che nessuno vi rimborserà mai. 

Se poi alla fine dei cinque anni di contratto il proprietario del locale riceve un’offerta migliore vi comunicherà che il vostro contratto sarà rinnovato solo se farete un’offerta superiore. 
Comunque vada il gioco, l’investimento vale la fatica e i sacrifici. So di ristoratori che hanno iniziato facendo mille sacrifici che ora possono permettersi vacanze da mille e una notte nelle località più alla moda piu famose del mondo intero. Niente è regalato ovunque decidiate di andare, ma nulla è impossibile da ottenere, basta volerlo. 

Benvenuti in Vietnam.


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The King of the Road


Se non siete mai andati nel Sud Est asiatico non potete capire il perché la vita delle persone non è esattamente quella che ci si aspetta. Ovunque si vada e si legga si parla di Asia = ritmi lenti, una filosofia di vita inimmaginabile, tranquillità, poesia. Ma sarà veramente così? Oppure è solo un’alternativa creata ad hoc rispetto al caotico modo di vivere occidentale? Forti di queste convinzioni molti italiani si avventurano all’estero scegliendo per questo il sud est asiatico dove le bellezze della natura attraggono i visitatori e quelli desiderosi di cambiare vita. 

Eccole le tigri asiatiche, che se le chiamano tigri a qualcuno dovrebbe venire più di un sospetto, si affacciano timidamente e sornione alla prima luce dell’alba. Thailandia, Vietnam, Laos, Cambogia, Malaysia, Myanmar sono diventate in pochi anni la meta preferita di molti italiani che le hanno scoperte dopo i francesi e gli scandinavi, dopo gli inglesi e gli americani e forse anche dopo gli spagnoli e i portoghesi. Il primo aspetto che notiamo è l’assenza, salvo negli sperduti villaggi nelle campagne, di quella pace e tranquillità che anelavamo ritrovare. Motorette strombazzanti ovunque a partire dalle primissime luci dell’alba e fino a tarda sera, l’aria inquinata dalle esalazioni dei tubi di scarico, il catalizzatore non credo sappiano cosa sia e una continua e fastidiosa cacofonia di suoni che può anche sembrare musica, ma che musica non è, in sottofondo.

Benvenuti in Asia, recita un cartello all’aeroporto di Hanoi, benvenuti nel caos quotidiano! Ha aggiunto una ignota mano evidentemente ben a conoscenza di quello che attende il visitatore una volta varcata la soglia. Il caos a cui l’ignoto autore si riferiva è certamente quello delle motociclette e scooters di ogni tipo, nazionalità e colore che inflazionano le strade vietnamiti. Giapponesi per lo più, anche coreane, cinesi e italiane, in una qualsiasi citta’ del Vietnam ad una qualsiasi ora, se vi affacciate alla porta del bel palazzo dove abitate potrete vedere un fiume di motorette strombazzanti riempire la strada di fronte a voi. Non penserete che quel fiume lo si possa fermare con un semplice semaforo? I semafori servono per le auto, loro, i centauri passano come se nemmeno esistesse. 

Viaggiando in auto sei circondato da motorette, se potessero ti passerebbero sopra pur di arrivare prima. Si infilano in ogni buco, passaggio, pertugio e sciamano via come api ronzanti.
Ho personalmente assistito a tentativi di conversione a U di qualche autocarro, nessun centauro si ferma, passa davanti, dietro, appena si apre un varco lui entra, non importa chi arrivi di fronte, non importi che rischio si corra, l’importante è passare, arrivare e ricominciare come in una giostra che non si ferma mai. Io sono da sempre un appassionato di moto, e come moto intendo un qualunque mezzo a due ruote dotato di motore a scoppio. E devo dire che nel Sud Est Asiatico mi sento come un verme nella mela… Anche all’osservatore più disinteressato non può infatti scappare il ruolo fondamentale che hanno le moto nella vita di questi popoli e nella economia del Vietnam e di tutti i paesi del Sud Est Asiatico. La moto qui non è solo un mezzo di locomozione comodo e veloce, è soprattutto uno strumento di lavoro e di sopravvivenza. Attraverso quelle due ruote viaggia una grossa fetta della economia locale che coinvolge la più grande parte della popolazione. Grazie a quelle infaticabili due ruote milioni di cittadini di fascia medio bassa riescono a sbarcare il lunario e mantenere intere famiglie spesso allargate ai figli e nipoti che sono costretti per mancanza di denaro a vivere nella casa dei genitori magari con moglie e figli. Grazie alla motocicletta la lotta contro la dura vita di tutti i giorni diventa un pò meno faticosa. La moto in Vietnam viene chiamata “the King of the Road” il Re della Strada e, in effetti, con la moto si possono fare i lavori più strani, si può fare praticamente di tutto.
Più si guarda a questi piccoli e leggeri mezzi meccanici, e a come vengono utilizzati qui in Asia nei modi più assurdi e ingegnosi, e più ce ne si innamora.
Queste motorette sono eccezionali.
Di una semplicità meccanica estrema, essenziale, che possono essere guidate anche da un bimbo, e nonostante questo possiedono caratteristiche progettuali intelligentissime. Sono stati infatti studiati dagli abili ingegneri giapponesi per essere pressoché indistruttibili, banali da riparare, e con pochissimi parti in usura, pochissima elettronica. I motori tutti monocilindrici a 4 tempi 125cmc, raramente da 150cmc, sono potenti, leggeri e consumano pochissimo, circa 4 litri per 100 Km, ma in condizioni tranquille e con poco traffico anche meno di 3.
Con queste motorette spostarsi, e spostare le merci, non costa davvero nulla. Il vero problema è l’inquinamento. È così vasto e sentito che ormai la maggior parte della popolazione locale (e ribadisco: solo locale) che cavalchi un destriero motorizzato a due ruote o una modesta bicicletta, che si muova in auto oppure a piedi, utilizza una mascherina per proteggersi la bocca dai fumi di scarico che impestano l’aria e la rendono irrespirabile. Come ben sappiamo la soluzione non è una mascherina in tessuto o altro materiale naturale, la soluzione ottimale sarebbe dotare le motorette di uno scarico catalitico, ne più ne meno di come si fa da qualche anno in Europa e negli USA. Purtroppo questa soluzione comprometterebbe le vendite di motoveicoli nuovi, il vietnamita non si può permettere grandi spese, il credito è complicato, servono garanzie anche in Asia, nessuno banca finanzierebbe senza adeguate garanzie, purtroppo tutto il mondo è simile in questo. Tuttalpiù la famiglia interviene per dare una mano ma stiamo sempre parlando di piccoli numeri. Alla fine la motoretta la si compra e quella entra a far parte della vita di ognuno in modo totale.
La moto diventa quindi un infaticabile compagna di vita. Si trasporta di tutto. Ho visto una bara poggiata in equilibrio instabile sul sellino posteriore mentre il centauro guidava con una mano e con l’altra teneva fermo il carico ingombrante, ho visto una vacca legata e impastoiata da non potersi muovere sfilare a 100 all’ora con le narici a due palmi dall’asfalto, ho visto famiglie intere insaccate sul veloce mezzo, che a questo punto non saprei se fosse ancora veloce carico e stracarico. Quattro, cinque ed anche sei persone fra adulti e bambini.
Una regola non c’è, o meglio c’è ma nessuno te lo fa notare. Anche qui bisogna aprire una parentesi importante. In un paese come il Vietnam dove tutto viene governato dalla capacità di corrompere è ovvio che chi può permetterselo aggira le multe semplicemente pagando la metà del dovuto brevi-mano allo zelante poliziotto che, anche lui, deve tirare a campare, dar da mangiare ad una famiglia numerosa, arrivare alla fine del mese arrotondando a non finire con quello che passa il convento.
Chi arriva per la prima volta in Vietnam non coglie l’attimo, non sa integrarsi con il mondo che lo circonda e forse non noterà con solerte arguzia che bisogna sapersi integrare con il luogo in cui si transita. L’apparire come un corpo estraneo, senza conoscere la gente, i loro bisogni, le loro realtà non aiuta a capire la popolazione ed il loro bisogno assillante di vivere, di esistere, di essere un protagonista a dispetto delle difficoltà che la vita ci mette continuamente davanti, come bastoni fra le ruote del nostro cavallo meccanico. In sella ad una moto il vietnamita si sente davvero grande, potente eppure così piccolo, indifeso mentre viaggia, e comunque partecipe della vastità del pianeta, della diversità di culture e assolutamente integrato con tutto ciò che lo circonda. Cavalcare la propria motocicletta e’ danza e musica in un unisono alla ricerca di quel legame con le tradizioni e i luoghi. È un modo per scoprire il rapporto fra la vita dell’uomo e il suo lento scorrere in mezzo la quotidianità dei popoli, con cerimonie, nascite, eventi, matrimoni e funerali.
Concludo riportando una galleria di foto scattate in giro per il paese asiatico, alcune mi sono particolarmente piaciute altre meno, tutte mi davano veramente l’idea, e spero anche a voi, di quello che significa possedere una motocicletta nel Sud Est Asiatico.

















Questo articolo è stato pubblicato su Voglio Vivere Così l'11 Agosto 2012